Ci sono vari modi per non farsi cogliere di sorpresa dalla tristezza e quello preferito da Giovanni era imprecare, bestemmiare contro di essa, reagire con virulenza e maleducazione, senza tuttavia farsi sopraffare dalla rabbia, giusto far salire un po' la pressione perché la pressione bassa è la condizione più adatta per le nubi della malinconia. Un fanculo detto bene, una porcamadonna sillabata meglio, il tutto pronunciato in solitudine, in auto, in una stanza, o meglio ancora camminando senza avere intorno nessuno. Era sufficiente alzare un po' la voce, ed ecco che l'orizzonte si rasserenava: Giovanni si sentiva meno turbato e quindi pronto a passare un'altra sera senza litigare con la moglie per un nonnulla (un cibo poco cotto o cotto male), o per il quasi tutto, ossia per il silenzio perdurante dei sentimenti che si era fatto cronico, oramai da anni, tra loro due.
Gianna, invece, per sfuggire alla tristezza, si metteva in contatto con altre persone, almeno sette, alcune molto care, altre gratis, una per ogni giorno della settimana.
Il lunedì scriveva a Sandro, vedovo da anni, ma che non s'era più riaccompagnato per tenere vivo il ricordo dell'amore che lo legava alla moglie. Sandro era un agente di commercio e girava mezza regione per promuovere prodotti e prendere commissioni di vendita presso i commercianti ai quali faceva visita e lui sì che di cose da raccontare ne aveva.
Il martedì era il giorno di Franca, insegnante di lettere delle medie, l'amica del cuore.
Il mercoledì fegato, il giovedì trippa.
Baccalà il venerdì.
Il sabato andava a confessarsi perché, contrariamente alla psicoterapia, il sacramento della confessione era gratis («Ecco perché dài l'otto per mille alla cattolica» gli rinfacciava spesso Giovanni) e, altresì, perché il prete, dal quale si confessava, prima di entrare in seminario, si era laureato in psicologia con una tesi su Viktor Frankl.
E la domenica? Gigliola.
Dimmi che m'ami
sono innocente come il sol
che risplende sul mare:
voglio dare un addio all'amor...
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