«Agnelli ritiene che gran parte della responsabilità della [crisi economica] e, in particolare, della crisi industriale del settore privato, sia dovuto essenzialmente alle difficoltà di autofinanziamento delle imprese (ma, chiediamoci, i profitti che fino ad ora avevano permesso l'autofinanziamento delle imprese non si erano formati attraverso l'utilizzazione di forza lavoro a basso costo e la arretratezza tecnologica delle imprese?), e alla “eccezionale estensione del controllo pubblico sull'industria” (ma, questo controllo pubblico non era sorto proprio per permettere alla grande industria di non occuparsi di problemi ‘secondari’ dell'industrializzazione [...]). Di qui, a giudizio di Agnelli, la necessità di un rilancio dell'attività imprenditoriale privata che, al contrario di quella promossa dal settore pubblico, è l'unica attività che può coerentemente e efficientemente svolgere un ruolo di sviluppo industriale, una politica industriale anche nel quadro una programmazione [...] dell'economia nazionale». Lucio Villari (vedi post precedente).
Per rilanciare e promuovere il processo di industrializzazione, Gianni Agnelli propose un patto:
«Certo, questo patto proporrà anche a noi, imprenditori privati, nuovi complessi impegni. Ci riteniamo capaci, per la nostra parte, di farvi fronte con un disegno di sviluppo che esalti il carattere trasformatore tipico dell'industria italiana, diversificandone e sofisticandone le strategie e garantendone la competitività in un contesto di mercato internazionale. Questo oggi, infatti, apre all'Italia [...] l'occasione di valorizzare come risorse in termini economici le sue non rinunciabili scelte politiche. Ma l'impegno degli imprenditori non basta: è indispensabile un parallelo impegno delle altre forze-guida del Paese. Occorre che classe politica e forze sindacali riconoscano nella gestione concreta del loro potere le ragioni e i fini sociali dell'industria con i suoi meccanismi necessari. Tali meccanismi sono il prodotto dell'economia moderna: tra essi fondamentale è il meccanismo dell'accumulazione e quindi l'impresa che ne è la sede naturale.» (Ibidem post di ieri).»
Dopo quarant'anni, gli imprenditori, o meglio: i prenditori, o meglio ancora: i capitalisti hanno diversificato e sofisticato abbastanza strategie per buttarlo in culo a pressione alla classe dei lavoratori. Certo, tutto questo con la complicità della classe politica, che pur di tenere ben oleato e funzionante il meccanismo dell'accumulazione, vanifica, passo dopo passo, le conquiste sociali ottenute dal Dopoguerra in poi.
4 commenti:
agnelli ha perfettamente ragione dal suo punto di vista: scopo del capitale è il profitto, l'accumulazione
e dunque bene ha fatto poi marchionne, stante l'indifferenza della classe politica
questi ragionano da capitalisti e la loro logica imprenditoriale non fa una grinza
la responsabilità è dunque ancora una volta della politica, delle sue scelte e non scelte
ma questa classe politica di che cos'è espressione, non mi si venga a dire del voto e dunque del paese
questa classe politica è espressione dei rapporti di forza tra le classi sociali e, dall'altro lato, dei rapporti internazionali
e tuttavia ciò accade nel quadro di scelte di politica economica a livello sovrannazionale, e come tendenza endogena dello sviluppo capitalistico, altrimenti non potremmo spiegarci il ritorno al liberismo puro e la nuova fase che chiamano globalizzazione e che è invece il vecchio caro imperialismo, non ultimo lo sviluppo delle nuove tecnologie. insomma la vecchia storia descritta già oltre un secolo e mezzo addietro. gratta gratta la sostanza delle contraddizioni è sempre quella.
sì, gratta gratta è così. Ma, tu mi insegni, che un conto è grattare dove c'è polpa e un conto dove c'è l'osso (o la crosta) - e la classe politica degli ultimi decenni, oramai tranquillizzata sul lato dei conflitti, sceglie sempre di grattare le ossa e le croste del welfare piuttosto che la polpa delle rendite.
"Occorre che classe politica e forze sindacali riconoscano nella gestione concreta del loro potere le ragioni e i fini sociali dell'industria con i suoi meccanismi necessari."
Eccola, la donna di spade trasformata in serva di danari.
Non nel settore agnellino, la ho vista, servire. Esperienza limitata, secondaria, la mia, vale per quello che vale- A un certo punto capii che come coordinatore sindacale aziendale ospedaliero avevo due controparti, e quella padronale era comprensibile - faceva il suo interesse - l'altra, quella sindacale regionale e nazionale, che si faceva assente nei momenti in cui avremmo avuto bisogno di rapido appoggio, o che in alcuni casi faceva sospettare di peggio, era la nostra vera debolezza nei momenti di lotta e, ancor più pesantemente, nelle trattative. Mi guardavo intorno, quando andavo nelle alte sfere, e mi accorsi anche di questo: in maggioranza l'organizzazione sindacale dirigenziale viveva grazie ai distacchi, cioè persone consapevoli di essere pagate, infine, da quella che avrebbe dovuto essere la controparte: tranne coraggiose eccezioni, valeva la consapevolezza di essere emanazioni padronali, oltre che di un assetto giuridico intenzionalmente democratico.
Così come il partito comunista dopo la seconda guerra mondiale era infine un'apparenza rivoluzionaria consapevole di essere apparenza dopo gli accordi di Yalta, altrettanto apparenza di giustizia e progresso sui posti di lavoro era il sindacato.
La sola possibilità di fare qualcosa, come organizzazione sindacale aziendale era di contare su di noi, sul posto di lavoro, a vista, il più possibile coesi nei momenti di contrapposizione, e arrivare a compromessi con le due controparti al momento di concludere qualche trattativa.
Grazie del commento Romeo, fa quadrare molte cose che mi giravano in tondo senza che le cogliessi.
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