martedì 26 aprile 2016

Lavoro


Marco Belpoliti, Primo Levi di front e di profilo, Guanda, Parma 2015
Quanto lavoro umano consumato per produrre merce in eccesso, quanto lavoro sprecato per mantere in vita il meccanismo perverso dell'accumulazione. Quanto fare, quanto agire umano inutile, dannoso, anti economico. Un mero scavare di buche per riempirle di acciaio, cemento, gomma o vitamina C.

Ha ragione Olympe de Gouges: le cause reali di tale andazzo sono davanti agli occhi ma la politica, la società si rifiutano di vederle. Perché? Forse perché sono evidenze che pietrificano ogni tipo di azione, compreso il lavoro. Il lavoro non è dedicato a costruire se stessi e il mondo ma, al contrario, nell'organizzazione capitalistica il lavoro è lesivo per l'uomo e il mondo, in quanto è irreggimentato e consumato al fine di produrre plusvalore.

Ora dopo ora, giorno dopo giorno...

1 commento:

Olympe de Gouges ha detto...

senza l'homo faber non esisterebbero che scimmie. il lavoro è il primo bisogno dell'uomo, ma con il lavoro forzato, ossia con il lavoro ridotto a merce, con il lavoro schiavo e salariato, il lavoro alienato, il lavoro diventa una maledizione. oggi il lavoro umano ha raggiunto un livello tale di produttività che possiamo avviarci ad una società dove il lavoro non sia qual è in tanta parte ancor oggi. dunque non ci dobbiamo liberare dal lavoro, ma dal lavoro salariato e dai rapporti economici e sociali che esso implica. ciò che scrive P.L. è molto elevato, nulla a che vedere con quanto viene spacciato comunemente dagli scriba del padronato, ma resta ancora in un ambito indeterminato per quanto riguarda la concezione del lavoro nella condizione capitalistica, permane su posizioni sostanzialmente idealistiche, pur segnate dalla terribile esperienza vissuta, che è la forma più estrema dello sfruttamento del lavoro in un contesto molto particolare ma non dissimile, nei presupposti, dalla forma più generale dello sfruttamento stesso. muta la gradazione e la brutalità. in antico, tra il lavoro domestico, agricolo o artigiano dello schiavo e quello "ad metalla" c'era una bella differenza, ma tutte queste attività erano svolte nel quadro del lavoro schiavistico e dei relativi rapporti sociali. la produzione culturale stessa risente di tali rapporti, ieri come oggi.