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Male fanno ancora quelli che tratto tratto si pongono a recitare i
sogni loro con tanta affezzione e facendone sì gran maraviglia che è
un isfinimento di cuore a sentirli; massimamente ché costoro sono
per lo più tali che perduta opera sarebbe lo ascoltare qualunque s’è
la loro maggior prodezza, fatta eziandio quando vegghiarono! Non si
dee adunque noiare altri con sì vile materia come i sogni sono,
spezialmente sciocchi, come l’uom gli fa generalmente. E comeché
io senta dire assai spesso che gli antichi savi lasciarono ne’ loro
libri più e più sogni scritti con alto intendimento e con molta
vaghezza, non perciò si conviene a noi idioti, né al comun popolo,
di ciò fare ne’ suoi ragionamenti. E certo di quanti sogni io
abbia mai sentito riferire (comeché io a pochi soffera di dare
orecchie), niuno me ne parve mai d’udire che meritasse che per lui
si rompesse silenzio, fuori solamente uno che ne vide il buon messer
Flaminio Tomarozzo, gentiluomo romano, e non mica idiota né
materiale, ma scienziato e di acuto ingegno. Al quale, dormendo egli,
pareva di sedersi nella casa di un ricchissimo speziale suo vicino,
nella quale poco stante, qual che si fosse la cagione, levatosi il
popolo a romore, andava ogni cosa a ruba, e chi toglieva un lattovaro
e chi una confezzione, e chi una cosa e chi altra, e mangiavalasi di
presente; sì che in poco d’ora né ampolla né pentola né bossolo¹ né alberello² vi rimanea che vòto non fosse e rasciutto. Una
guastadetta³ v’era assai picciola, e tutta piena di un chiarissimo
liquore, il quale molti fiutarono, ma assaggiare non fu chi ne
volesse. E non istette guari che egli vide venire un uomo grande di
statura, antico e con venerabile aspetto, il quale, riguardando le
scatole et il vasellamento dello spezial cattivello e trovando quale
vòto e quale versato e la maggior parte rotto, gli venne veduto la
guastadetta che io dissi: per che, postalasi a bocca, tutto quel
liquore si ebbe tantosto bevuto, sì che gocciola non ve ne rimase; e
dopo questo se ne uscì quindi, come gli altri avean fatto: della
qual cosa pareva a messer Flaminio di maravigliarsi grandemente. Per
che, rivolto allo speziale, gli addimandava: – Maestro, questi chi
è? e per qual cagione sì saporitamente l’acqua della guastadetta
bevve egli tutta, la quale tutti gli altri aveano rifiutata? –
A cui parea che lo speziale rispondesse: – Figliuolo, questi è
messer Domenedio; e l’acqua da lui solo bevuta, e da ciascun altro,
come tu vedesti, schifata e rifiutata, fu la Discrezione, la quale,
sì come tu puoi aver conosciuto, gli uomini non vogliono assaggiare
per cosa del mondo. – Questi così fatti sogni dico io bene potersi
raccontare e con molta dilettazione e frutto ascoltare, percioché
più si rassomigliano a pensiero di ben desta che a visione di
addormentata mente o virtù sensitiva che dir debbiamo; ma gli altri
sogni sanza forma e sanza sentimento, quali la maggior parte de’
nostri pari gli fanno (percioché i buoni e gli scienziati sono,
eziandio quando dormono, migliori e più savi che i rei e che
gl’idioti) si deono dimenticare e da noi insieme col sonno
licenziare. »
Giovanni Della Casa, Galateo, XII, 1558
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¹ bossolo: vasetto.
² alberello: vasetto da farmacista.
³ guastadetta: vaso vitreo da farmacia.
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