«Era
stata, quella volta, una riunione divertentissima; molti degli
intervenuti avevano meno di trenta o al massimo trentacinque anni, ma
erano già conosciuti, e notati dalla stampa; non soltanto austriaci,
ma gente di tutto il mondo, attirata dalla voce che in Cacania una
donna dell'alta società stava aprendo una strada allo spirito
attraverso l'orbe. […]
Di
quali parole straordinarie si servivano! Esigevano temperamento
intellettuale. La categoria del ragionamento rapido, che afferra il
mondo alla gola. Il cervello ipersensibile dell'uomo cosmico. Che
altri verbi avevano proclamato?
Il
ridimensionamento dell'uomo sulla base di un piano di lavoro mondiale
all'americana, attraverso il mezzo fisico della forza meccanizzata.
Il
lirismo, congiunto alla penetrante drammaticità della vita.
Il
tecnicismo: uno spirito degno dell'età della macchina. […]
Predicavano
l'accelerismo, cioè l'accrescimento massimo della velocità delle
esperienze, sulla base della biomeccanica sportiva e della precisione
acrobatica.
Il
rinnovamento fotogenico per mezzo del film.
Poi
uno aveva detto che l'uomo era un misterioso spazio interiore, sicché
bisognava dargli un rapporto col cosmo mediante il cono, la sfera, il
cilindro. Ma fu affermato anche il contrario, cioè che tale concetto
individualistico dell'arte era superato, e che bisognava ispirare
all'uomo dell'avvenire un nuovo senso della casa costruendo edifici
popolari e villaggi. E mentre si era formato così un partito
individualistico e uno sociale, un terzo sostenne che solo gli
artisti religiosi sono sociali nel vero significato della parola. Un
gruppo di nuovi architetti rivendicò poi per sé il comando perché
lo scopo dell'architettura era appunto la religione; con influsso
concomitante anche sull'amor di patria e la fedeltà alla terra. Il
gruppo religioso, rinforzato da quello cubico, replicò che l'arte
non era una questione dipendente bensì una questione centrale,
l'adempimento di leggi cosmiche; ma nel seguito della discussione il
gruppo religioso fu poi nuovamente abbandonato da quello cubico, il
quale finì per allearsi con gli architetti nel sostenere la tesi che
il rapporto col cosmo era meglio ottenuto mediante le forme spaziali,
che rendono valido e tipico l'elemento individuale. Fu enunciata la
proposizione che bisognava proiettarsi nell'anima umana per poi
fissarla nelle tre dimensioni. Qualcuno, in tono energico e
battagliero, chiese se erano più importanti diecimila persone
affamate o un'opera d'arte. In realtà, poiché erano quasi tutti
artisti d'una specie o dell'altra, erano unanimemente persuasi che la
guarigione spirituale dell'uomo si deve cercare soltanto nell'arte,
solo che non erano riusciti a mettersi d'accordo sulla natura di
questa guarigione e sulle esigenze da porre in suo nome all'Azione
Parallela. Ecco che a questo punto il gruppo originario sociale
riprese il sopravvento e fece udire nuove voci. Il quesito, se fosse
più importante un'opera d'arte o la miseria di diecimila affamati,
si trasformò in quest'altro: se diecimila opere d'arte compensavano
la miseria di uno solo. Artisti poderosi dichiararono che non è
lecito all'artista darsi tanta importanza; basta con
l'autoincensamento, essi proclamavano, l'artista sia affamato e
sociale! Qualcuno disse che la vita era l'unica e la massima opera
d'arte. Una voce energica interruppe: Non è l'arte che unisce, bensì
la fame! Una voce conciliante ricordò che il mezzo migliore contro
l'esagerata opinione di sé era una salubre attività artigiana. E
dopo quel tentativo di compromesso qualcuno approfittò del silenzio
causato dalla stanchezza o dal disgusto reciproco per chiedere di
nuovo placidamente se credevano sul serio di poter concludere
qualcosa prima che fosse ristabilito il contatto tra l'uomo e lo
spazio. Fu il segnale per la ricomparsa tumultuosa del tecnicismo,
dell'accelerismo e di tutto il resto, e il dibattito si prolungò
senza decisioni. Alla fine però si misero d'accordo, perché
bisognava andare a casa e venire a qualche risultato; perciò tutti
consentirono in una conclusione all'incirca così formulata: il
tempo attuale è tempo d'attesa, impaziente, indisciplinato,
infelice; il Messia che s'invoca e si aspetta non è tuttavia ancora
in vista».
Robert
Musil, L'uomo senza qualità, traduzione
di Anita Rho, Vol. I, Einaudi, Torino 1957
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