Per alcuni mesi, pochi, sfruttando una promozione scontata, sono stato abbonato di Spotify e, confesso, mi rispecchio in pieno in quella casistica di coloro che, adulti, invece d'ascoltare nuova musica, preferiscono riascoltare vecchi LP, ossia canzoni di quando erano giovani e la musica la mettevano su giradischi o cassette a nastro, in camera, e la ascoltavano per ore, perché ogni canzone, anche se leggera, aveva un certo peso, spessore, lasciava un calco preciso nella mente ancora più disposta a raccogliere anziché scartare - e scartare, rifiutare la musica oggi è cosa indispensabile, ancorché difficile, considerato la pervasività dell'inquinamento musicale/ambientale che non è più relegato alla stanzetta e trova diffusori discariche in ognidove.
Ogni generazione ha avuto, ha e avrà i suoi eroi e - tutto sommato - considero la mia piuttosto fortunata, giacché avevamo a disposizione il cantautorato italiano nella sua maturità artistica e il rispetto verso i classici e le icone rock e pop era ancora ai massimi livelli (esempio: la moda ululava Duran Duran, ma che cazzo vuoi, moda, lasciaci ascoltare i Pink Floyd).
Fortunata età giovanile in cui i tormentoni estivi erano scritti da Franco Battiato...
Scrivo questo perché oggi m'è venuto in mente un brano che amo molto, di Roberto Vecchioni, che lui remasterizzò nell'album Il grande sogno, album che aveva la copertina disegnata da Andrea Pazienza - e ho pensato a quanto siano sfortunati i giovani di oggi in fatto di musica: prima di tutto perché ne hanno troppa e troppo facilmente reperibile; secondariamente, perché è tutta musica videata e tormentonata - con frequenti, insopportabili, balletti al seguito; infine (lo dico più a naso che a orecchio, cioè per spizzichi e bocconi musicali che subisco in luoghi pubblici dove la musica d'oggi passa), perché credo non vi siano cantautori o compositori che riescano, tramite i loro brani, a far uscire l'ascoltatore dal confino del brano stesso per trasportarli altrove, in altri luoghi, ad esempio: un libro, un film, un déjà vu, un vissuto riletto con un telescopio e non con un microscopio che fissa l'attenzione sul proprio io minuto.
Certo, il declino del mercato discografico è irreversibile: i dischi, chi li compra più.
Purtroppo, temo che le app(licazioni) che offrono musica in streaming confondano, spiazzino, dis-orientino cercando di indirizzare verso quelli che dicono essere i tuoi gusti, quando in realtà sono soltanto i loro.
Per questo penso che le app musicali siano uno strumento da utilizzare in seconda battuta, non in prima, perché altrimenti chi ascolta rischia di essere fagocitato in flusso di note insignificanti.
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