Dunque: pensavo di avere un corpo e di averne la proprietà; credo di conoscerne i confini nello spazio tempo che attraversa respirando, mangiando, camminando, eccetera. Pensavo di avere un corpo e che fosse mio e che non avesse niente da dimostrare, anche perché quando mi sono reso conto - adolescente - che invece doveva dimostrare qualcosa, il corpo si è ritirato nel proprio guscio ed è stato così, per alcuni anni, a scrivere poesie e farsi le seghe in modo privato, onesto, cristallino, senza spargere versi e sperma pubblicamente se non quando, saltuariamente, gli veniva richiesto. Pensavo di avere un corpo, di accudirlo, lavarlo, pettinarlo, dargli la vitamina c per l'inverno e altre acidità di stomaco. Un corpo che si è reso conto presto dei suoi limiti e che non ha cercato di superarli; un corpo che è stato e resta dentro le possibilità inscritte dal codice genetico e dal contesto storico e socio-economico nel quale è cresciuto, sviluppato e rimasto in attesa che gli anni passino, si consumino tutti e trovi, alla fine, un po' di metri quadrati al cimitero della propria città (anche se non vedo male l'ipotesi cassetta delle ceneri da sotterrare nel giardino di casa, vicino a un nespolo che ancora deve crescere, si farà).
Avevo un corpo, ce l'ho ancora, lo faccio nuovamente correre dopo un infortunio perché il corpo a una certa età non va stressato troppo correndo, le cartilagini, si sa, sono soggette a deteriorarsi, insomma, un corpo che nonostante tutto reputo piuttosto in forma, un corpo che va di corpo abbondantemente, anche su richiesta, un corpo che consuma il giusto, non fuma, beve un bicchiere di rosso al giorno dopo cena, e poco più. Un corpo lontano dai farmaci, a parte un'aspirina ogni tanto. Un corpo che è qui, e che credevo tutto mio e che, invece, lo stato, dato il mestiere che il mio corpo fa, gli ha intimato di dover assumere una certa cosa per ragioni che non ha ben capito: gli esecutori al governo parlano del bene della collettività a scapito dell'individuo e degli impegni che lo stato avrebbe assunto in sede internazionale, quali impegni? non si sa. Il fatto è che, davanti a tale obbligo, il mio corpo indugia, nicchia e ponza. Siccome io pensavo che il corpo fosse mio e lui pure pensava di essere me, ci siamo presi del tempo per meditare sul da farsi, perché il mio corpo e io pure, siamo da sempre stati inclini a seguire una tendenza, la tendenza Bartleby. Ma ora fatemi pensare ad altro ché ho da scrivere ancora un po'.
2 commenti:
...e pensavi male.
E, sempre per pensare, pensa pure che il tuo corpo ha recettori wifi che neanche ti immaginavi, come ci ha onorato di farci capire la lingua di Mentana .
Ahimnè, la lingua di Mentana è dai tempi del duello in tv tra Berlusconi e Prodi che non la sento.
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