lunedì 6 agosto 2012

Il lavoro del povero è la miniera del ricco

Comunque il cuore degli equipaggi era formato dalle migliaia di cittadini poveri, e in particolare da quelli che già in tempo di pace lavoravano sul mare: marinai, nocchieri etc. Costoro potevano ritenersi gli autentici fondatori e sostenitori dell’impero ateniese, dal momento che erano essi, in pace, a creare il benessere dei ricchi col lavoro delle proprie braccia, e, in guerra, a difenderlo. Così andò crescendo, in queste masse, l’aspirazione di governare direttamente lo Stato che a loro doveva la sua esistenza.
Luciano Canfora, Il mondo di Atene, Laterza, Roma-Bari 2012

Come scrive Olympe de Gouges,
«La storia politica dell’Italia è per lunghi tratti la storia criminale dei partiti politici e della loro gestione dello Stato, della loro commistione con poteri di ogni genere, spesso illegali, in cambio di voti, di soldi, di quote di potere, di controllo del territorio, delle risorse e dei flussi di spesa. Della loro intelligenza con potenze straniere. Questa storia, peraltro, si può leggere negli atti delle numerose commissioni parlamentari d’inchiesta, anche se numerosi di essi restano, non per caso, secretati.»
Bene, dopo queste sconsolanti considerazioni sui partiti politici italiani, quali modi le masse popolari (i proletari*, la generazione perduta) hanno, al di fuori del sistema di brigantaggio partitico, di realizzare  la loro legittima «aspirazione di governare direttamente lo Stato che loro deve la sua esistenza»?
Ammettiamo, per incanto, che, prima o poi, questo sistema capitalistico venga rovesciato o con la forza (rivoluzione) o per inerzia (implosione): quale forma di convivenza al di là dello stato borghese sarà possibile? Il comunitarismo retrogrado alla moda della bella famiglia mormone, neocatecumena, o islamica d'alto bordo (i sauditi) mi sta francamente sulle palle. Il dirigismo di chi si incarica perché si sente un eletto abbiamo visto, tragicamente, a cosa porta: con quale faccia di merda Mao Tze Tung si presenterebbe oggi al Comitato vedendo che una piccola percentuale di dirigenti di partito o capi industria scherani conduce una vita da nababbo sulle spalle di più di un miliardo di individui?
Insomma, come ci si organizza? Vedete, io sono già in là con la mente a immaginare scenari perché sperare nel riformismo del partito democratico mi fa venire il latte alle ginocchia. Insomma: sveglia, premunirsi, perché io non voglio smadonnare a lungo per poi ritrovarmi a comandare o a essere comandato.
Voglio dire: liberiamoci, sì, ma per essere liberi tutti da tutto anche da noi stessi.
Lo svincolamento totale, utopia pura, già.
Per quel che vale, un passo avanti per aspirare alla libertà è meditare su cose che sembrano banali, ma che lo divengono solo dopo che ti sei posto il problema. E cioè, come riporta lo stesso Marx nelle pagine sotto riportate in imago, già nel 1696 (!) un tal John Bellers ebbe a meditare:
«Se qualcuno avesse 100.000acri e altrettante lire sterline di denaro e altrettanto bestiame, che cosa sarebbe l'uomo ricco senza il lavoratore se non egli stesso un lavoratore? E come i lavoratori arricchiscono la gente, allo stesso modo tanto più lavoratori, tanto  più ricchi... Il lavoro del povero è la miniera del ricco». 
Perché non proviamo a uscire da questa miniera, perdio?

*«Per “proletario” dal punto di vista economico non si deve intendere se non l'operaio salariato che produce e valorizza capitale ed è gettato sul lastrico non appena sia diventato superfluo per i bisogni di valorizzazione di Monsieur Capital»
** Cliccate su immagini per ingrandire e, se volete, leggere.



5 commenti:

Massimo ha detto...

Mi chiedo sempre più spesso cosa succederà alla fine di questo sistema. Non sembra mancare molto.
Il problema grosso è che non c'è nessuno in grado di veicolare e riunire le cosiddette istanze di cambiamento. Visto come siamo adesso sembra che l'alternativa a questo caos, sia un caos ancora maggiore. Mai c'è stata, credo, tanta incertezza nella storia. E' come se, esaurito il numero degli eroi (e supereroi) medioman dovesse fare da solo. Ci hanno reso medioman e poi ci hanno abbandonato al nostro destino, sapendo che più di tanto non possiamo nuocere.
Dovremmo dimostrare a questi stronzi il contrario, ma da che parte cominciare? Io sinceramente, non ne ho idea.

Luca Massaro ha detto...

Anch'io non ne ho idea. La coscienza da sola serve a qualcosa? Per ora a bestemmiare, vedendo certi sorrisi.

Pisacane ha detto...

Il Capitale governa le nostre vite e noi ne abbiamo fede, ci crediamo e gli consegniamo il nostro umile credito, suoi debitori fedeli. L'antropocentrismo è sepolto da un pezzo, le Costituzioni sono carta straccia buona per idealisti ed ingenui, i diritti flatus vocis di occidentali costretti all'estetizzazione della protesta, la finitezza creaturale è il pegno che dobbiamo pagare alla chiesa del capitalismo finanziario odierno.

A questo punto dove risiede l'ansia di rivoluzione? Nei residui ancora superstiti dell'individuo. Quell'individuo che resiste alla soggettivazione costantemente operata dal potere pubblicitario e servilizzante. Insomma pochi ma buoni. Pochi ma stanchi.

Luca Massaro ha detto...

Residui di individuo mi piace molto, fa molto "resilienti".

Anonimo ha detto...

Sai dove vedo il vero problema (che hai individuato benissimo dicendo
"Per quel che vale, un passo avanti per aspirare alla libertà è meditare su cose che sembrano banali, ma che lo divengono solo dopo che ti sei posto il problema.")?
Lo vedo nel numero bassissimo di persone che se lo pongono, il problema.
Un passo alla volta allora. Però facciamolo tutti.:-)