... non solo in principio e alla fine, ma anche nel mezzo.
Ieri, su La Domenica de Il Sole 24 Ore, c'era una pagina contenente due articoli molto interessanti;
uno di Carlo Rovelli, dal titolo «E se Rousseau avesse avuto ragione?», in cui viene presentata una recente ricerca di Ken Flannety e Joyce Marcus (un archeologo e un antropologo), i quali sostengono una tesi che sarebbe stata, appunto, condivisa dallo stesso Rousseau, ovvero che la diseguaglianza sociale è una creazione relativamente recente nel genere umano, comparsa dopo l'invenzione e lo sviluppo dell'agricoltura; l'altro articolo è di Gilberto Corbellini, «Ma l'uguaglianza è per pochi», in cui egli offre uno lucido spunto sul quale, a mio avviso, occorre riflettere. Lo riporto
Difendere sul piano teorico un punto di vista politico vuol dire, spesso, sostenere o che esiste una sorta di posizione originaria o naturale che ci rende portati verso una tra alcune opzioni alternative; ovvero che è possibile convenire razionalmente che una tra tali opzioni è la migliore. Per esempio, ci si schiera per il primato della libertà individuale o per quello dell'eguaglianza, perché si può pensare d'aver scoperto o di poter provare che per natura saremmo o egoisti o cooperativi, o individualisti o egualitari, eccetera. In realtà, queste giustificazioni sono sempre a posteriori, e le conclusioni sono condizionate dal tipo di ideologia somministrata con l'educazione e la cultura, oltre che ovviamente da tratti innati della persona.
Spero di ritornarci sopra, ma per il momento mi basta sottolineare che l'esempio offerto da Corbellini è riduttivo, in quanto ritengo che proprio la libertà individuale si possa affermare soltanto partendo da un principio di uguaglianza. L'evoluzione umana, intesa sopratutto come evoluzione culturale, non ha che pochi millenni di storia - pochi in rapporto all'evoluzione biologica, d'accordo, ma già sufficienti per farci vedere che il nostro mondo, l'Occidentale intendo, è un mondo che ha consentito sì all'umanità di compiere enormi progressi, ma non è che debba per questo essere considerato un modello intoccabile e irreversibile soltanto perché gli altri modelli sinora sperimentati sono stati peggiori, giacché questo favorisce ineluttabilmente lo status quo delle classi dominanti (ovvero degli individui che sono, di fatto, più uguali degli altri).
Queste sere, un cugino musicista, discretamente famoso sopratutto Oltralpe (è quello sulla destra nel breve video), mi ha detto - e non so quanto attendibilmente - che, gli pare Hitler, dicesse «il n'y a solidarité qui parmi les riches», ovvero soltanto i ricchi sono solidali (uguali) tra loro.
Noi poveri, o mezzi poveri, abbiamo ancora da lottare col nostro risentimento, che ci fa mettere le dita negli occhi reciprocamente, senza prendere travi per sfondare la vista dei veri disuguali.
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