Papa Francesco ha detto:
«Vivere la Settimana Santa è entrare sempre più nella logica di Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita. È entrare nella logica del Vangelo.»
Non sarà in ordine d'importanza per la fede cristiana, ma la Settimana Santa, prima di tutto, è dolore, è tradimento, è persecuzione, è accusa, è flagellazione, è rinnegamento, è crocifissione e morte. Poi, se la fede subentra per far rivivere il Rabbi - dopo la cocente delusione, «il profondo trauma psicologico» (C. Freeman, Il cristianesimo primitivo, Einaudi, pag. 41) che i discepoli esperirono nel vederlo morire crocifisso come un ladrone qualsiasi - solo dopo, ex post, essa trasfigura e trasmuta la sofferenza in gioia, il dolore in amore, la morte in dono di sé.
«Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un “uscire”: uscire. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio.»
Papa Francesco non è un teologo e nemmeno io lo sono, però mi sembra teologicamente contestabile sostenere che l'azione creativa di Dio possa essere preclusa da un certo modo di vivere la fede, stanco e abitudinario, da parte del fedele. Inoltre, non è difficile contestare che tutta la struttura liturgica della Chiesa si basa su stanche abitudini, su ricorrenze, celebrazioni, eccetera. Provate ad andare da un prete a dire di uscire dagli schemi e domani, anziché i piedi, di lavare i genitali dei fedeli.
«Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la misericordia di Dio che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per noi».
Certo che un Dio che esce da se stesso per poter andare da qualcuno e che poi, quando è arrivato al cospetto di questo qualcuno, pianta una tenda e ci si infila dentro (a fumare il calumet della pace?), è un Dio po' strano, forse ha fumato, appunto. Un Dio che è uscito pazzo, insomma.
Esagererò, ma - a mio avviso - l'esperienza dell'uscire fuori di sé è legata all'ebbrezza (o all'estasi), e cercare le pecorelle smarrite con la vista annebbiata (come me ora, dal sonno) non è cosa buona e giusta: c'è il rischio di perdere anche se stessi.
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