Francis Bacon, Tre Studi di Crocifissione, 1962. |
«Il grande tema della Crocifissione, che un tempo concentrava in sé tutta l'etica, tutta la religione, perfino tutta la Storia dell'Occidente, si trasforma in Bacon in un mero scandalo fisiologico.
“Sono sempre stato colpito dalle immagini dei mattatoi e della carne, e per me sono strettamente legate a tutto ciò che la Crocifissione rappresenta. Ci sono straordinarie foto di animali scattate proprio nel momento in cui li portano fuori per abbatterli. E l'odore di morte...”.
Accostare Gesù Cristo inchiodato sulla croce, i mattatoi e la paura degli animali potrebbe sembrare sacrilego. Ma Bacon non è un credente e il concetto di sacrilegio è estraneo al suo pensiero; per lui
“l'uomo si rende conto che è solo un accidente, un essere privo di senso, costretto senza motivo a stare al gioco sino in fondo”.
Gesù, in questa prospettiva, è un accidente che, senza motivo, è stato al gioco sino in fondo. La croce: la fine del gioco che si è accettato di giocare senza motivo sino in fondo».
Milan Kundera, “Il gesto brutale del pittore. Su Francis Bacon”, in Un incontro, Adelphi, Milano 2009 (traduzione di Massimo Rizzante).
Il terzo studio del trittico baconiano mi ricorda di quando, bambino, andavo con mia madre dal macellaio sotto casa, Finetto, il quale, almeno una volta a settimana, metteva in bella mostra, al centro del negozio, di qua dal bancone, proprio dove i clienti sostavano in attesa, una carcassa di bovino appesa per le zampe alle catene di ferro della carrucola (carrucola che gli consentiva, dipoi, di trasportare la bestia dentro la cella frigorifera).
Erano gli anni settanta dello scorso secolo e forse altre erano le regole igieniche, e quindi era possibile tenere tale carcassa dove, sovente, io, nell'attesa, mi ci infilavo dentro, piccolo umano vivo tra le costole di un bovino adulto morto. E mi ricordo, altresì, che qualche volta Finetto mi diceva che potevo persino prenderla a cazzotti quella carcassa, come un sacco per pugilatori (io mi limitavo a contare le costole, così come qualcuno conta i cerchi dei tronchi degli alberi tagliati).
E se provo adesso a chiudere gli occhi e a ritornare lì, in quel preciso spazio-tempo della mia fanciullezza, altra cosa che m'investe è l'odore di carne fresca che, dopo la frollatura, dovrà essere sezionata, venduta e quindi mangiata, da me compreso che protestavo sempre per la perenne fettina di secondo. Odore, sì; e il fresco, tanto che mi prendeva voglia di appoggiarci le guance accaldate dopo una partita di pallone con gli amici, appena conclusa, giù in piazza.
Io ero Neeskens, perché un mio amico un po' più bravo si ostinava a voler essere Cruijff.
Ho smesso presto di giocare al calcio, ma non ho smesso di giocare il gioco che ho accettato di giocare senza motivo sino in fondo. E, senza apparenti catene, a testa in su, resto precariamente appeso alla superficie di questo pianeta.
2 commenti:
"E, senza apparenti catene, a testa in su, resto precariamente appeso alla superficie di questo pianeta." Che è come dire: di questa macelleria.
Una macelleria "sociale", soprattutto nella nostra decadente democrazia occidentale.
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