Ieri vidi tre levrieri
lungo i viali di Treviri
più che bianchi erano neri
più che falsi erano veri
più che scalzi erano alteri
traversavano i pensieri
abbaiavano ai doveri
quasi a dire: Cosa provi
per noi lievi, per noi vili?
Cosa speri, cosa vivi
se ci trovi lungo i viali
di Treviri, incerti ai trivi?
Toti Scialoja, La mela di Amleto, Garzanti, Milano 1984
“Accumulate, accumulate! Questa è la Legge e questo dicono i profeti! «L’industria fornisce il materiale che il risparmio accumula». Dunque, risparmiate, risparmiate, cioè riconvertite in capitale la maggior parte possibile del plusvalore o plusprodotto! Accumulazione per l’accumulazione, produzione per la produzione, in questa formula l’economia classica ha espresso la missione storica del periodo dei borghesi. Non si è illusa neppur un istante sulle doglie che accompagnano il parto della ricchezza, ma a che lamentarsi di ciò che è necessità storica? È vero che per l’economia classica il proletario conta solo come macchina per la produzione di plusvalore, ma anche il capitalista conta per essa solo come macchina per la conversione di questo plusvalore in pluscapitale, ed essa ne prende molto sul serio la funzione storica. Per rendere il petto del capitalista fatato contro l’infausto conflitto fra istinto di godimento e istinto d’arricchimento, il Malthus, all’inizio del terzo decennio di questo secolo, ha difeso una divisione del lavoro che attribuisce al capitalista realmente impegnato nella produzione il mestiere dell’accumulazione e agli altri che partecipano al plusvalore, aristocrazia terriera, beneficiari dello Stato e della Chiesa, il mestiere della prodigalità. È importantissimo, egli dice, «tener separate la passione dello spendere e la passione dell’accumulazione (the passion for expenditure and the passion for accumulation)». I signori capitalisti, da molto tempo trasformati in vitaioli e uomini di mondo, si misero a strillare. Come, gridava un loro portavoce, un ricardiano, il signor Malthus predica alte rendite fondiarie, imposte elevate ecc, per imporre agli industriali un continuo costituito di consumatori improduttivi! Certo, la parola d’ordine suona produzione, produzione su scala sempre più ampliata, ma «da tale processo la produzione viene molto più frenata che fomentata. Né è del tutto giusto (nor is it quite fair) mantenere così in ozio un certo numero di persone, soltanto per pungolarne altre, dal cui carattere si possa dedurre (who are likely, from their character) che se riuscite a costringerle a funzionare, funzioneranno con successo». Quanto il nostro ricardiano trova ingiusto incitare all’accumulazione il capitalista industriale levandogli tutto il grasso dal brodo, altrettanto necessario gli sembra limitare l’operaio il più possibile al salario minimo, «per mantenerlo laborioso». E non fa un segreto, neppure per un istante, del fatto che l’arcano del fare plusvalore è l’appropriazione di lavoro non retribuito. «L’aumento della domanda da parte degli operai non significa altro se non che essi sono disposti a prender una minor parte del loro prodotto per se stessi e a cederne una parte maggiore ai loro padroni; e quando si dice che ciò produce, per la diminuzione del consumo (da parte degli operai), un glut (sovraccarico del mercato, sovrapproduzione), posso rispondere soltanto che glut è sinonimo di profitto elevato».”
Karl Marx, Il Capitale, Libro Primo, Sezione 7, capitolo 22.
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