Da un editoriale di Luciano Gallino su Repubblica di oggi (editoriale in cui il noto sociologo mette - più o meno banalmente - a confronto la manifestazione della CGIL a piazza San Giovanni e la Leopolda di Renzi), estraggo:
«[...] non c’era confronto tra i partecipanti di piazza San Giovanni e quelli della Leopolda. Per i primi era evidente che quello che sta succedendo da parecchi anni è una “guerra dell’austerità”, per usare la dizione di un noto economista americano. Una guerra di classe in cui la destra si prefigge di distruggere le conquiste sociali degli anni 60 e 70, che furono un tentativo riuscito di sottoporre il capitalismo a una ragionevole dose di controllo democratico. Le misure imposte da Bruxelles, di cui il governo Renzi, a parte qualche battuta, è fedele esecutore, sono precisamente espressione di tale guerra o conflitto di classe, nella quale le classi dominanti hanno negli ultimi decenni conseguito una grande vittoria. Equivalente a una dolorosa sconfitta per i manifestanti romani.»
Devo essere sincero: fino ad alcuni mesi fa, avrei preso per buona e mi avrebbe persuaso l'analisi abborracciata di Luciano Gallino, che contiene sì una parte di verità, ma minima e, soprattutto, incompleta. In primo luogo, non è solo la destra a prefiggersi «di distruggere le conquiste sociali degli anni 60 e 70»: sono tutti, destra e sinistra - e financo le cosiddette ali estreme dei due poli (Lega e M5S compresi). In secondo luogo, le conquiste sociali furono “concesse” alla classe lavoratrice, non perché il capitalismo venne sottoposto «a una ragionevole dose di controllo democratico», ma per altre ragioni: da una parte la globalizzazione era frenata dal blocco sovietico e cinese; dall'altra per l'esistenza stessa di una alternativa comunista (sia pure aberrante da un punto di vista delle libertà individuali) occorreva tenere buone le masse perché non avessero troppo a reclamare - e ciò era possibile in quanto, come scrive Olympe de Gouges,
«i sistemi economico-sociali capitalistici hanno potuto metter in campo, per un certo periodo, politiche social-democratiche che ponevano al centro del loro pragmatismo il lodevole proposito di migliorare il sistema delle garanzie sociali e attenuare le più stridenti disuguaglianze. E tuttavia tali politiche d’impronta riformatrice, se da un lato riuscivano a mascherare un modello di democrazia d’impronta classista, dall’altro contenevano in germe le contraddizioni di uno Stato parassitario e inefficiente. La crisi fiscale dello Stato e la minaccia di squilibrio che essa contiene ha mandato all’aria tali politiche d’impronta redistributiva, ribadendo la sola logica alla quale il sistema della competitività capitalistica deve necessariamente obbedire, ossia quello della massima redditività ed efficienza estorsiva.»
Ecco, questa sì che è un'analisi convincente e completa. E potrebbe arrivare a sostenerla anche il professor Gallino se abbandonasse l'illusoria pretesa di riformare il sistema economico e produttivo capitalista, se considerasse che la guerra di classe non prevede una guerra tra schieramenti politici, ma tra classi: la classe dominante (i detentori del capitale e sacerdoti al seguito) contro la classe dei dominati ovvero di tutti coloro che per vivere devono o vendere la propria forza lavoro oppure vivere di elemosina.
Il capitalismo non è una bestia addomesticabile, coercibile, riformabile. Esso è mosso da precisi meccanismi e specifiche - insolubili - contraddizioni. Resta tuttavia unica la sua motivazione; di più, il suo fine ultimo: la sua valorizzazione.
«Il prodotto del processo di produzione capitalistico non è semplice prodotto (valore d’uso) né semplice merce, cioè prodotto dotato di valore di scambio; il suo prodotto specifico è il plusvalore, ossia merci che possiedono un valore di scambio maggiore di quello anticipato per la loro produzione. Ecco perché il processo lavorativo appare solo come un mezzo laddove la produzione di plusvalore, ossia la valorizzazione del capitale, è il fine.
Essendo la produzione capitalistica eminentemente processo di valorizzazione del capitale attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro, la cosiddetta “crescita” attraverso l’aumento dei consumi ha dunque un unico scopo, non già l’aumentato benessere dei lavoratori e dei consumatori, della società nel suo insieme, bensì quello di favorire il processo di valorizzazione del capitale.» (Ancora Olympe de Gouges, oggidì)
Comunque se Gallino riuscisse poi (non si sa come) a rubare le uova d'oro al capitale e a redistribuirle per un società più equa e giusta, non mancheremo di riconoscere i suoi meriti e dargli la medaglia al valor civil.
P.S. O.T.
Se un giorno Luciano Gallino e Ernesto Galli della Loggia andassero a pranzo insieme, cosa ordinerebbero? Una...
3 commenti:
la chiusa sulle uova d'oro da ridistribuire è ottima. tu cogli esattamente l'aspetto saliente del fraintendimento di gallino: non si tratta semplicemente di una lotta ideologica; questa s'accompagna a una lotta per la "ciccia". i borghesi sono degli irriducibili pragmatici, quando fa comodo a loro sono disposti (fino a un certo punto) a diventare anche "marxisti". nel 900 né abbiamo esempi a bizzeffe. ovvio che si tratta di un "marxismo" a loro uso e consumo. la loro lettura è solo e semplicemente letterale (quando va bene), non ne comprendono il metodo scientifico, proprio no.
Ordinerebbero una loggia massonica? - no, mi sono lasciato fuoriviare da un elemento non comune nei nomi - allora: pollo? - no, di polli saranno sazi - brodo di gallo? no, ci sarebbe un fastidioso riflesso tra nomi e realtà, sia che fosse un piccolo gallo sia che fossero tanti - brodo di gallina? - ecco, brodo di gallina potrebbe essere la risposta giusta: c'è anche l'elemento sessuale, d'altra specie ma forse sono abituati alla distanza.
Per la verità, io pensavo a una più modesta frittata ;-)
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