«La riforma della scuola non è solo - come dice Renzi - la riforma più importante per i nostri figli e per la crescita del Paese, ma è anche un segnale di modernizzazione per gli attori dell'economia che aspettano da sempre la svolta meritocratica (utile al settore, ma anche come paradigma sociale per tutto il Paese) e una efficiente alternanza tra scuola e lavoro che possa finalmente “rifinire” al meglio una riforma dell'apprendistato arrivata tardi, ma finalmente arrivata.
Dare voce alle richieste di modernizzazione che provengono dalla manifattura e dalla parte produttiva del Paese è il modo più efficace per far volare il calabrone-Italia [...] Un rilancio che passa anche da una riduzione strutturale del costo del lavoro...» Alberto Orioli - Il Sole 24 Ore.
Riporto questo stralcio d'articolo di un notista del quotidiano della Confindustria perché è un ottimo esempio di manifesto classismo.
«Gli attori dell'economia»: chi sono costoro? Certamente gli imprenditori, i capitani (coraggiosi) d'industria, i capitalisti tout court: e chi altri sennò? I salariati (tecnici, operai, impiegati, eccetera) ormai non sono neanche comparse che si trovano nei titoli finali del film della produzione: sono scomparsi dietro le quinte, anonimi servitori degli interessi del capitale, ossia produttori esclusivi e sottaciuti del plusvalore (plusvalore che, altrimenti, non avrebbe luogo).
L'obiettivo della riforma della scuola, dunque, è fissato: cazzate meritocratiche a parte, l'importante è che a una fetta della maggioranza degli studenti (l'altra fetta di maggioranza è destinata naturalmente a gonfiare la torta della cosiddetta manodopera di riserva) sia dato modo diventare il fiato che dà voce alla «parte produttiva del Paese», soprattutto accettando, sin da apprendisti, e senza riserve, «una riduzione strutturale del costo del lavoro», che non significata altro che una diminuzione sostanziale e consistente del valore dell'unica merce che saranno in grado di portare sul mercato: se stessi (la loro forza lavoro). Voilà il «paradigma sociale» per i nostri figli e per la crescita del Paese. Non è una novità: è più di un ventennio che esso è paradigmatico. La sola vera riforma - che non si potrebbe chiamar tale perché non sarebbe una riforma - sarebbe nel sovvertirlo, cambiarlo totalmente, rivoluzionarlo. Ma sono cose queste che non potranno essere insegnate: basterà vederle.
P.S.
Se posso e riesco, i calabroni, quando mi svolazzano intorno casa, cerco di colpirli con una vecchia Donnay di legno firmata Bjorn Borg, stordendoli, e poi calpestandoli fino a spremere il midollo del loro coriaceo esoscheletro. Non avevo mai pensato di essere antipatriottico sino a questo punto.
1 commento:
Per la crescita del Paese.
Ecco, la scatola di sardine Italia, con un deficit ecologico di 4 o 5 volte la biocapacità nazionale, con un debito finanziario non numerabile, diciamo sui 2.3 tera euro, ha bisogno di tutto meno che crescere.
Un tumore che cresce non è mai una buona cosa.
Qui si vuol pure fare crescere la scuola che allevi masse in batteria programmate al pensiero unico, una delle quali robazze è che, ci sia, lassù, La Divina Crescita.
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