Non
avrei mai pensato ritrovare quello che non avevo perso. O perdere
quello che non avevo. Soluzione: il vuoto, mio rappresentante
anticommerciale, cerca di spacciare quel poco pensiero che si ostina
a presentarsi quotidianamente per eccedere il trascorrere del tempo;
tempo rilegato a vari adempimenti che, in pratica, sono quasi tutte
rotture di coglioni, dalla sussistenza all'assistenza,
dall'espletamento delle funzioni corporali alle relazioni di
prossimità. Uff. In fondo, vivere è più o meno questa roba qua,
fare cose (doveri, piaceri) e poi vagliarle al setaccio del ricordo per
vedere quali pepite la mente sfoggia o butta nella spazzatura
dell'inconscio.
Stasera
però non ho alcuna intenzione di fare il gioielliere o il
netturbino.
«134. “Non si può dire tutto” (Descombes, 1977) – Deluso? Lo desiderava? O almeno qualcosa, “il linguaggio”, lo voleva? Dispiegare tutta la sua potenza? Una volontà? Una “vita”? Un desiderio, una mancanza? Teleologie del compimento, melanconie dell'incompiuto. – Ma lei ammetteva che “qualcosa richiede di essere messo in frase”? – Ciò non implica che tutto debba o voglia esser detto. Ciò implica l'attesa di un'occorrenza, del “prodigio” che, appunto, tutto non sia stato detto. La veglia. Questa attesa è nell'universo di frase. È la “tensione” specifica che ogni regime di frase esercita sulle istanze». Jean François Lyotard, Il dissidio, Feltrinelli, Milano 1985
Farò
il turista che gira nel centro cittadino e osserva, appunto, la
vetrina dei preziosi e, con la coda dell'occhio, lo spazzino, che
raccoglie cartacce, cicche, scontrini, peli e cacche di cani a
passeggio col padrone. È uno spazzino di età indefinibile, aria né
triste né lieta. Ha appena bevuto una doppia vecchia romagna, a metà
mattino, quasi a digiuno, aveva preso sinora soltanto un caffè
macchiato, all'alba. Da un po' di tempo beve, troppo, per stordirsi:
mandare giù quel lavoro, dimenticare una donna. Tale donna, che non
rivede da tempo, gli passa accanto, proprio quel mattino, abbracciata
ad un altro, non accorgendosi della sua presenza (è difficile
guardare negli occhi chi indossa tute da lavoro catarifrangenti
arancione). I due suonano il campanello, il gioielliere gli apre,
entrano nel negozio. Lo spazzino si blocca. Il reflusso esofageo
della vecchia romagna, mescolato ai ricordi, gli provoca un subitaneo
conato – vomita di brutto davanti all'ingresso del negozio di
gioielli e sviene. Di lì a poco, arriva il centodiciotto e, proprio
nell'attimo in cui lo spazzino viene caricato nell'ambulanza, la
donna, con l'uomo ancora al suo fianco, esce dal negozio, calpesta il
vomito, scivola e cade col culo sopra di esso – e ricorda.
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