«Fu
rinfacciato al signor K. che in lui il desiderio era troppo spesso
padre del pensiero. Il signor K. rispose: – Non ci fu mai un
pensiero il cui padre non fosse un desiderio. Solo un punto può
essere messo in discussione: quale desiderio? Non occorre sospettare
che un bimbo potrebbe non avere un padre, per sospettare che
l'accertamento della paternità è difficile.»
Bertolt Brecht,
Storie da calendario, “Storielle
del signor Keuner”, Einaudi, Torino 1972
Quando
penso senza desiderare, di solito, il pensiero si affloscia, un
occhio si chiude e l'altro si distrae con le clavicole scoperte della
conduttrice del telegiornale. Io
trovo, infatti, che l'incavo – più o meno accentuato – che
separa tali ossa dalla base del collo sia una delle parti del corpo
in cui il tatto più volentieri insiste per ritornare
dentro il principio del piacere come fonte del desiderio e quindi del
pensiero.
«Leva
quella mano che mi dài uggia e poi fa caldo», questa, di prassi, la
frase non della conduttrice, ma di colei nella quale uno ripone il
desiderio di tuffare dita nel lago di Carezza tra collo e clavicola.
Ma
donde sorge in me la “mania” di toccare quel punto? Facile: erano
i punti in cui le mie dita bambine maggiormente sostavano nei corpi di entrambi
i genitori. I polpastrelli hanno più memoria dell'acqua.
2 commenti:
cazzo: funziona! me ne torno a letto
sei un poeta.
quella delle clavicole è una zona erogena antica, non la scopri tu ...
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