mercoledì 9 settembre 2015

Te lo faccio sapere

Come tanti leggo quasi sempre i post di Alessandro Giglioli, persona intelligente, onesta, brillante, di buon cuore, da tempo una delle poche coscienze critiche della sinistra che abbia qualcosa di dire. Eppure, questo suo dire, da tempo, è un pronunciarsi a vuoto, un sorta di riflessione critica imballata, come un motore in folle. Metti una marcia, Giglioli, cazzo - gli si potrebbe suggerire.
Una volta persino su Facebook mi sono azzardato a punzecchiarlo e lui ebbe premura persino di rispondermi ch'ero troppo severo. Severo: gli dicevo, in estrema sintesi, di (ri)leggersi Marx. Niente da fare, sono passati mesi in cui il suo tic tac sulla tastiera non esprime alcunché di diverso, sempre lo stesso ritornello, tipo oggi che riporto estesamente:

«In Europa veniamo da trent'anni in cui ha stravinto il mantra secondo cui la società neppure esiste, esistono solo gli individui. E ogni individuo è così rimasto solo di fronte ai giganteschi e rapidissimi cambiamenti economici in corso: solo di fronte al precariato, all'insicurezza quotidiana, all'ipercompetizione. Spesso solo anche in senso affettivo: il tasso di matrimoni crolla e comunque la famiglia è sempre più liquida, provvisoria. Anche la religione - certezza antica a cui si è aggrappata per millenni ogni paura, ogni disperazione - è al tramonto. Non parliamo degli altri corpi intermedi: i partiti, i sindacati. Più che liquidi, proprio liquidati.»
«Di qui la reazione. Inevitabile. Che assume declinazioni diverse tra loro, ma ha la stessa causa: cioè la globalizzazione nella forma in cui è avvenuta. Velocissima, devastante, vincista. E sì, anche liberista. E sì, ancora, è la stessa globalizzazione che sta provocando spostamenti di massa di persone per ragioni economiche.»

[Leggere «vincista» mi ha fatto più male alle orecchie che il rumore di una motosega]

«Quindi nella reazione c'è di tutto. Gli obiettivi dell'avversione si assommano e si mescolano: dalla Troika ai migranti, dalla robotica agli Ogm, dalle banche ai matrimoni gay. C'è dentro tutto quello che si pensa abbia frantumato per sempre le certezze del passato. Che poi alcune di queste cause siano in realtà a loro volta effetti, è questione troppo sottile per chi ha paura e nostalgia. Tanto più se queste paure e nostalgie a loro volta si mescolano con un peggioramento della propria condizione sociale: il ceto medio impoverito, insomma. Bel cocktail, mamma mia.»
«Ecco che allora, mentre questa tempesta infuria, si cerca appunto una coperta calda. Si chiami Orban o Salvini. Ma non avviene solo a destra. Anche Corbyn, in Gran Bretagna, basa molto del suo crescente consenso sulla nostalgia per la socialdemocrazia. Nella vittoria elettorale di Syriza, un anno fa, c'era un Paese passato in un attimo dalla preminenza rurale a quella finanziaria, con catastrofe annessa. E quanti ne conosco, nella sinistra italiana, che tradiscono nostalgia per un periodo in cui il conflitto di classe era lineare e la possibile risposta dello Stato altrettanto semplice. Per un periodo in cui la storia andava piano.»
[Non capisco perché non abbia fatto qualche nome dei nostalgici italiani. Se poi uno s'immagina Ferrero, Rizzo e Russo Spena ah sì, beh, allora]

«Di fronte a tutto questo, siamo nella fase della rabbia e della recriminazione: per un processo economico-sociale che è stato devastante per velocità e voracità.
Ma oltre le recriminazioni, credo che si possa partire solo da due consapevolezze.
La prima è che dal gigantesco cambiamento strutturale avvenuto e ancora in corso non è che si possa tornare indietro costruendo fili spinati, facendo le sentinelle in piedi o arroccandosi nelle convinzioni ideologiche del Novecento.
La seconda però è che il processo finora è stato pessimamente gestito ed è sempre rimasto nelle mani di pochi: i quali, nella loro imprudente bulimia, si sono largamente fottuti delle conseguenze di quanto stava avvenendo nella carne e nel cuore delle persone.
L'obiettivo, forse, non è quindi mettere una coperta ai popoli per proteggerli dal cambiamento, ma sottrarre la gestione del cambiamento a quei pochi - e bulimici, e sciagurati.
Non è che sia una sfida difficile: è immane, gigantesca, ciclopica.
Ma se vedete altre strade possibili, in questo casino, fatemele sapere.»
Dunque, caro Giglioli io ti fo sapere subito: «il processo finora [...] pessimamente gestito [...] rimasto nelle mani di pochi» ha un nome: capitalismo. Paura a pronunciare questa parola?
Leggiti Marx. Innanzitutto per comprendere perché il modo di produzione capitalistico provoca devastazione e voracità, bulimia dei pochi, sciagura e fame nei molti. 
E poi, leggiti Marx, non per cercarvi delle modalità rivoluzionarie, quanto le insuperabili e insuperate analisi di critica dell'economia politica che mostrano perché senza il superamento della forma di socializzazione umana schiava del feticismo della merce - ovverosia schiava di fatto di un modo di produzione che mira esclusivamente non alla soddisfazione dei reali e concreti bisogni dell'umanità, ma alla mera valorizzazione - il pianeta e chi lo abita diventerà (come in gran parte di mondo è già) un'unica immensa discarica. 
Il capitalismo - è questo che va compreso innanzitutto per provare a pensare qualcosa di diverso - non deve essere ritenuto come la forma sociale definitiva e permanente che gli uomini hanno per produrre ricchezza, cambiamento, progresso, evoluzione sociale. Non serve a nulla che vada al potere un caudillo del cazzo qualsiasi per il gaudio del popolo a sbandierare bandiera rossa vincerà se poi la gente sarà comunque costretta a lavorare per campare, ossia a sottomettere se stessa per sussistere. Per intendersi. È una pia illusione credere che sia colpa della cattiveria di pochi stronzi bulimici.
Leggiti Marx, dunque - la sola strada possibile per il liberare il lavoro (il dispendio «di muscoli, cervello, nervi, ecc. umani») e quindi - forse - l'uomo. Poi, se ti va, ne riparliamo.

6 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

il buon Gilioli non s'immagina nemmeno che uno degli effetti più decisivi sul piano politico della crisi in atto è l'atteggiamento sciapo e la critica sempre laterale, funzionale a questo sistema, così caratteristici della sua prosa

giovanni ha detto...

Non sono un paladino di certi modelli ma leggere gente che scrive su giornali (cosa che in Italia equivale a essere un dipendente pubblico gran lusso, viste le elargizioni) me li fa desiderare. Vorrei vedere in una società ipercompetitiva (fa ridere il solo associarla alla Repubblica delle Corporazioni) Giglioli quanto pane porterebbe a casa.
Mi sveglio sempre più presto e acido.

lozittito ha detto...

non lo si chiama capitalismo perchè così rimane pur sempre qualcosa da salvare scindendo le alte performance del sistema dai suoi nefasti "effetti indesiderati"

ma bisognerà pure prendere atto che le parole non sono più "come pietre" e non inchiodano più la coscienza borghese alla sua specifica storica responsabilità

un motivo in più per tentare di sviluppare una autonomia concettuale originale rispetto ai pasticci di una sinistra da lasciare al proprio destino

quando la sigra Thatcher disse: "la società non esiste, esiste solo l'individuo" intendeva affermare l'esatto contrario, la coscienza rovesciata fa brutti scherzi: oggi esiste solo la società totale borghese, gli individui non sono e non potranno pervenire

intendere la critica marxiana come il "sociale" contrapposto al "privato" è ribaltarne interamente e volgarmente i termini, termini che invece vanno rimessi sui piedi affinchè una proposta comunista non possa più essere scambiata per una riproposizione del socialismo reale sovietico

solo una frase di Giglioli salverei: "...dal gigantesco cambiamento strutturale avvenuto e ancora in corso non è che si possa tornare indietro.." e mi viene da dire: appunto! inizia a buttare a mare le tue categorie



Massimo ha detto...

Forse un sistema diverso avrebbe lo stesso "effetti indesiderati", senza neppure alte performances (leggasi ricadute di "benessere" da 50 anni a questa parte per almeno metà della popolazione mondiale, cosa mai successa in tutta la storia umana), per legarmi all'ultimo commento.
In un certo senso paradossale capitalismo e comunismo sono riusciti nello stesso intento, azzerare l'individuo, renderlo conforme e impotente, anche se in modi diversi.
Il comunismo c'è andato giù un po' troppo pesante, il capitalismo ha un modo tutto suo di indorare il pillolone che ti infila nell'ano. Può persino, all'inizio, piacerti. Non scordiamocelo, prima di desiderare così fortemente la sua scomparsa.
Voglio dire, il sistema capitalista fa schifo ed è inumano, ma pensiamo bene a cosa vorremmo metterci al suo posto e pensiamo ancora meglio se funzionerebbe veramente.
Stiamo ancora aspettando una "proposta comunista che non possa più essere scambiata per una riproposizione del socialismo reale sovietico". Ho una mezza sensazione che faremo in tempo a invecchiare tutti.
Scusate la franchezza.

Luca Massaro ha detto...

Sì, Massimo: sperando d'invecchiare bene e senza tanti "sconvoglimenti".
Comunque, non sono preoccupato della proposta, bensì della "coscienza". Una coscienza che prenda atto della storicità di un modello economico e produttivo. La forma merce è una metafisica precipitata il cui dio, il denaro, il Mediatore universale della vita umana. Bisogna uccidere questo dio prima che uccida definitivamente noi (specie). Come? Boh.

Anonimo ha detto...

Eppure Gilioli ha ragione quando (un po' sfumatamente, forse) rileva che il successo delle destre in Europa esprime il desiderio diffuso di avere uno stato che, anche se vede, provvede. D'altra parte le sinistre ospitano i più convinti assertori del liberismo. E non solo: almeno dal '68, sono le sinistre intellettuali ad aver sdoganato un individualismo peggio che stirneriano (con tutte le sue conseguenze). Saluti, Ale