Anni or sono, era estate, vendetti a poco prezzo la mia manodopera di scarso valore e minimo sudore a un datore di lavoro, 9€ all'ora (mi davo via per poco, come oggi), a nero, pur trattando egli una materia bianca, come la farina; in breve: fui aiuto fornaio di un panificio piccolo piccolo che produceva un pane indigesto per lo meno a me che se lo mangiavo mi rimaneva sullo stomaco, ma tant'è, avevo bisogno di un po' di soldi per pareggiare i conti dei lunghi inverni del precariato.
In questo forno avevo come compito primario quello di stare al banco vendita e la mattina d'estate mi piaceva vendere pane caldo, schiacciate, panini, crostate e biscotti toscani fatti con margarina bavarese, a belle signore indigene ma anche forestiere e quelle che apprezzavo di più erano le scollate, dai fianchi larghi e la schiena nera verniciata dalle pennellate del solleone. Entravano e, mentre decidevano cosa comperare, io mi concentravo nel cogliere il momento esatto in cui la mascella imponeva ai loro molari il lieve strofinio d'inizio salivazione. Quando accadeva, mi precipitavo, solerte, a offrir loro un assaggio del prodotto che più stimolava la loro attenzione.
«Provi questi cantuccini alla mandorla, signora».
Così che poi dopo ne compravano mezzo chilo.
Il titolare del forno era contento e approvava la mia maestria. Mi diceva anche: «Lucaluca, io sto poco ad andare in pensione e, se vuoi, cedo a te l'attività».
Non cedetti alle sue lusinghe, per varie ragioni, la prima tra le quali che lavorare stanca, e io non desidero essere identificato con quale che sia l'attività che mi permetta di sussistere in questo sistema della compravendita ritenuto un meccanismo naturale dalle genti. Aspetto insomma la rivoluzione in cui il lavoro riuscirà a svincolarsi definitivamente dal mercato e dal capitale. In poche parole, aspetto di non fare un cazzo, tenendo conto che non fare un cazzo vuol dire espletare serenamente le funzioni vitali, unite al leggere, scrivere, camminare, fare ginnastica, guardare il cielo, i volti e i culi umani quando lo richiedono, tutte cose banali comunemente svolte, ciascuno secondo le proprie inclinazioni, nei periodi di ferie e sollazzo.
Attesa vana. Sarà per questo che tutte le volte che devo rinnovare la carta d'identità, alla voce professione, sono tentato di far scrivere: essente.
2 commenti:
bello lavoro, essente. me ce posso iscrive' pure io a 'sta gilda?
(ma senti un po', ma dopo che avemo fatto la rivoluzione a noi essenti i cantuccini chi ce li vende? chi ce li coce? li convinci tu? li costringiamo in base a qualche essenza loro. tipo - boh - che so' negri? o che non sanno - boh - il greco o il francese...?)
macché, quarcuno che je piace coce se trova sempre, vedi un po' con tutti sti programmi de cucina se nun se trova.
Magari in cambio noio [volevan savuar] je potremmo legge 'na terzina, io der Sommo e tu der Belli: vedrai quanti mezzi chili.
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