È un po' di tempo che la letteratura non bussa alla porta delle cronache per dire: «Guardate, ho scritto un racconto, un romanzo, un poema, un qualcosa che merita di salire agli onori delle cronache».
Chissà perché. Bisognerebbe domandarlo all'interessata.
«Mi scusi, signora Letteratura, come mai se ne sta qui da sola, tutta triste, seduta all'angolo?».
«La realtà, quella troia, occupa tutto lo spazio. Sempre sulla scena, si fa possedere da chi vuole. Soprattutto: dà meglio di me l'impressione di essere posseduta, di essere nelle mani di chi la vive. Ma non è così: la realtà è più falsa di me».
«Ma non era suo compito raccontarla, la Realtà?».
«Una volta, forse. Adesso fa tutto da sola, in diretta. Se ne frega di ogni mediazione: scavalca la rappresentazione e s'incarna negli occhi dello spettatore che non può non ingozzarsene e farne indigestione. Tra la realtà e lo spettatore non c'è più alcun filtro, più alcuna separazione».
«Dunque, se ho ben capito, non è per l'assenza di canali espressivi adeguati che lei si lamenta, bensì della mancata capacità ricettiva dei potenziali fruitori della sua produzione».
«Proprio così: sono così immersi nel presente, così sincronizzati, che ogni tentativo di astrazione e di prospettiva diacronica vengono rigettati in partenza. In queste condizioni, bussare alle porte delle cronache è impossibile. È un po' come andare alla festa o a alla tragedia di qualcuno senza invitato».
«Eppure Francesco Merlo, Concita De Gregorio...»
«Ha intenzione di farmi diventare maleducata?»
«Giammai, signora, mi perdoni».
«Si figuri, per così poco. Sappia comunque che a me piace essere maleducata, soprattutto quando pessimi pornografi sviliscono uno dei “miei” generi preferiti».
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