La prese sottogamba. Le sfiorò un polpaccio e gli sembrò identico al Tibet del suo mappamondo in rilievo. Richiuse gli occhi e provò a far scorrere sulle palpebre la sensazione di dormirle a fianco in una tenda sotto il tetto del mondo, alla ricerca del tepore perduto, del sudore sognato. Riaprì gli occhi e l'agosto che aveva davanti gli presentò il conto, le guance madide, una goccia salina che scendeva lenta sullo sterno, tanta sete. Le lasciò la gamba, anzi: lei si distaccò e bofonchiò di smettere di toccarla ché le faceva aumentare la sensazione di caldo. Le lenzuola scesero in fondo al letto. Si alzò per orinare e aprire la finestra, chissà in quale ordine. Bevve un bicchier d'acqua gassata, si sedette sul divano e, con un occhio chiuso e uno aperto, aprì la Gerusalemme a caso e lesse:
Chi è l'uomo? E a che può servire?
Qual è il suo bene e qual è il suo male?
Quanto al numero dei giorni dell'uomo,
cento anni sono già molti.
Come una goccia d'acqua nel mare e un grano di sabbia
così questi pochi anni in un giorno dell'eternità.
Siracide, 18, 7-9
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