Ci
sono sabato mattina d'autunno in cui si ha l'impressione di poter
partire per un viaggio imprevisto, in una parte di mondo ignota, dove
comunque si ripetono le stagioni, dove esistono quotidianità simili
alla propria ma allo stesso tempo sconosciute, ritmi esistenziali che
hanno le stesse probabilità di contenere la medesima quota di senso
per cui vale la pena vivere – accontentarsi, per esempio, del
disciogliersi dell'amido cotto di una castagna in bocca – oppure
no, parimenti non averla, verificarne di colpo l'insensatezza, non riuscire a fingere o farsi bastare un frutto di
stagione, disprezzare tutto e chiudersi dentro una sopravvivenza
contrita, disperata, a tratti violenta, prigioniera
dell'insoddisfazione.
Avanzando
passi sopra un marciapiede di cemento eroso, lambito dalla luce
diagonale di un sole stanco, Lucas osservò di lato un signore che
scendendo dall'auto, dopo un'egregia scatarrata, sputò sull'asfalto
i suoi umori, evitando poi accuratamente di pestarli nel chiudere lo
sportello.
–
Speriamo tu li possa pestare dopo,
mentre risali in macchina, incollandoli dipoi sui pedali
dell'acceleratore o del freno.
Lucas
non si lasciava spesso tentare dalle maledizioni; sapeva che erano
utili soltanto alla propria coscienza, senza avere in alcun modo il
potere di modificare il corso delle cose. Maledire, per lui,
equivaleva soprattutto a un dire male e
quindi a essere un maledicente. Ma
in questo caso non era bello
l'immagine del contrappasso?
La
repentina mutazione autunnale delle foglie rende osservatori
partecipi dello scorrere del
tempo. Potessimo avanzare di pari passo, senza discrasie, verso una
siffatta spoliazione programmata, posare sul terreno tutta la
costruzione di pensiero stagionale che copre l'essenzialità del
dire, lasciare ignude quelle
tre o quattro cose di noi che forse luccicano e ci rendono
riconoscibili, come quegli infiniti puntini bianchi nel cielo, ognuno
col suo proprio nome, a sparare luce a cazzo nell'universo senza
scopo.
–
Mi meraviglio che
l'intelligenza abbia preso questa piega, pensò Lucas durante uno
sbadiglio post prandiale.
–
Perché quando penso fitto
fitto mi viene sempre sonno? I miei neuroni hanno il fiato corto?
Una
foglia di fico cadde di lato a un lombrico accartocciato.
3 commenti:
Caro Luca ,
molto bello il "pezzo".
caino
In questo momento invece sto leggendo un sacco di cose sulla "relatività " del tempo che scorre nell'universo.
Da questo punto di vista mi chiedo che "idea" del mondo si sia fatto il "lombrico",soprattutto se fosse stato vittima della "scatarrata "del signore.
Cosa naturale o divina ?
Concludo che "i media" umani, ultimamente scatarrano a ritmo elevatissimo.
Grazie Caino.
"...avanzare di pari passo, senza discrasie, verso una siffatta spoliazione programmata, posare sul terreno tutta la costruzione di pensiero stagionale che copre l'essenzialità del dire, lasciare ignude quelle tre o quattro cose di noi che forse luccicano e ci rendono riconoscibili..."
Dov'è che si firma?
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