Lei scoperse
il fianco e lui – che era un fiancheggiatore – fece finta di non
vederlo scoperto, guardò altrove cambiando discorso, tecnica
retorica per la quale non era particolarmente portato, sarebbe stato
meglio per lui restare zitto confidando nelle virtù taumaturgiche
del silenzio.
Quando
cambiava discorso, infatti, lo accusavano sempre di cambiare discorso
e gli chiedevano perché lo faceva. Lui, tranquillo, rispondeva
perché il discorso di prima stava prendendo una brutta piega... Non
lo facevano neanche finire che gli rinfacciavano: «A che gioco stai
giocando?».
Eppure
non stava giocando alcuna partita, non si sentiva dentro ad alcun
campionato, era lei che avrebbe voluto giocasse e dimostrasse a tutti
che era un giocatore, così si sarebbe messa l'animo in pace perché
avrebbe avuto una prova che lui, appunto, stava giocando, ossia
mettendo in campo una strategia, una tattica per conseguire un
risultato che una volta ottenuto avrebbe appeso come un trofeo per
ricominciare daccapo.
Ma
non era così – lei avrebbe voluto fosse così, ma non era. Lui
avrebbe voluto dirglielo ancora una volta perché l'unica volta che
glielo disse lei non gli aveva creduto. Le sembrava impossibile. Era
stanco e lasciò perdere. Le fece credere in questa possibilità che
si era inventata per darsi una giustificazione e lanciargli
un'accusa. Un'accusa che la sua coscienza non temeva perché
semplicemente non era vera. Si limitò a sorridere, per schernirsi e
conferire un tono di leggerezza alla conversazione.
2 commenti:
Bello! Metafisico. E metà corporeo; davvero non presta... il fianco a critiche.
siu
la leggerezza, acquisirla è una battaglia
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