[mi
mancano due personaggi per completare il quadro delle presentazioni.
Due personaggi, due donne. Dove le pesco? Donde le traggo? Dalla
realtà? Quale realtà?
Questa storia è scritta su un filo: da una parte c'è la realtà, dall'altra la finzione. Il problema è che io non sono tanto bravo come equilibrista e spesso cado, un piede qua, un piede là e il filo nel mezzo, tipo tanga.
Questa storia è scritta su un filo: da una parte c'è la realtà, dall'altra la finzione. Il problema è che io non sono tanto bravo come equilibrista e spesso cado, un piede qua, un piede là e il filo nel mezzo, tipo tanga.
Inoltre,
non sono poi tanto sicuro che finzione e realtà siano l'una il
contrario dell'altra. A volte la realtà è così finta e, viceversa,
la finzione così reale, vera... o meglio: verosimile.
Insomma,
restano due donne per chiudere il giro e, probabilmente, iniziarne un
altro.
Orbene,
quali donne prendere a prestito dalla realtà, ovvero dalla
finzione?]
La
vita da gemelli è abbastanza facile da immaginare, per chi gemello
non è. Fra i gemelli c'è chi, senza dubbio, non potrebbe vivere un
solo istante senza la vicinanza del fratello; e chi, invece, potrebbe
eccome per avere l'esclusiva delle cure e attenzioni parentali, senza
avere accanto qualcuno che gliele contende.
Carla
e Marta appartengono a quest'ultima categoria. Sorelle gemelle,
dizigoti, Marta fu la prima ad uscire dal ventre materno e a
guardarle se ne potrebbe congetturare la ragione: alta almeno dieci
centimetri più della sorella, più entrante, estroversa, una bella
donna dai bei gomiti. Carla, il contrario; ma non per questo meno
affascinante. Anzi. Bastava parlarci un attimo per preferire invitare
lei a cena anziché la sorella (fatto salvo che a Marta avresti
sicuramente offerto prima un caffè).
Chiaramente
fu Marta a introdurre la loro storia e a esporre le ragioni per cui
erano lì. Quando avevano sei anni, i genitori si separarono. «Che
cosa vuol dire amichevolmente
mamma», chiese Carla alla mamma. «Che
io e quello stronzo di tuo padre non abbiamo litigato». Ecco. E,
infatti, fu affido
condiviso.
Un finesettimana a testa. Prima la nuova fidanzata del padre. Poi il
nuovo amico della madre. «Due palle gemelle», pensavano le bambine
senza, purtroppo – dato il loro carattere e la mancata
complicità –,
solidarizzare. Non stavano bene insieme, ma vi erano costrette. Anche
a scuola, infatti, avrebbero
dovuto fare sezioni diverse, ma proprio quell'anno – causa pochi
iscritti – fu fatta solo una prima. E così
cinque anni di elementari
nella stessa classe.
E così alle medie, dato che
entrambe volevano frequentare
l'unica
sezione musicale dell'istituto
e nessuna era disposta a rinunciare.
Altri tre anni di
contiguità che, per loro fortuna, s'interruppe alle superiori:
iscritte entrambe all'Istituto Alberghiero, ebbero tuttavia
l'opportunità di frequentare sezioni diverse, in base al diverso
grado di specializzazione prescelto (Marta nel
settore cucina, Carla in quello sala-bar).
Dopo il diploma, la comune
volontà di rendersi indipendenti dalla famiglia e di allontanarsi
l'una dall'altra, le portarono ognuna a cercare lavoro lontano da
casa. Lavori stagionali svolti in stazioni balneari o di montagna.
Trascorsero così un paio d'anni senza farsi ombra e presero persino
il gusto di telefonarsi di tanto in tanto per dirsi come stavano,
raccontarsi quello che facevano. Un giorno, Marta rivelò alla
sorella di aver conosciuto un “ragazzo”, un aiuto cuoco, con il
quale era nata un'amicizia piuttosto profonda; Carla fece
altrettanto, dicendo alla sorella che un suo collega le aveva chiesto
di trascorrere alcuni giorni di vacanza insieme e quanto sarebbe
stato bello – aggiunse lei alla sorella – se avessero potuto
organizzarsi per ritrovarsi coi rispettivi fidanzati, così da
presentarsi e conoscersi.
Detto fatto: tre settimane dopo erano nella hall di un albergo con spa annessa di Aosta e che stupore fu scoprire che i due ragazzi erano fratelli, tuttavia non gemelli, per
quanto si assomigliassero così tanto che chiunque li avrebbe
ritenuti tali. Nati uno un anno a distanza dell'altro, avevano avuto
un percorso di studio prima e lavorativo poi analogo a quello delle
gemelle. Soltanto, una volta lontani l'uno dall'altro, non avevano l'abitudine di chiamarsi spesso se non per farsi gli auguri di
compleanno, per questo non sapevano pressoché niente della loro rispettiva vita sentimentale. E se la cosa fu per loro divertente, per le sorelle,
invece, non lo fu per niente perché subito subodorarono che tale
coincidenza le avrebbe necessariamente riavvicinate più di quanto
loro stesse desideravano. E così fu, infatti. Quando i fratelli,
forti di una cospicua eredità da parte di una lontana zia, ebbero
l'idea di rilevare un agriturismo in Chianti per farlo diventare una
sorta di relais, per loro fu evidente proporre a Carla e Marta di
seguirli nel progetto che avevano in animo di realizzare.
«Ecco – concluse Carla –
la ragione per cui siamo qui è capire. Capire se facciamo bene ad
accettare oppure no; capire se stare vicine ci possa allontanare
definitivamente, ovvero se per seguire chi amiamo, potremmo correre
il rischio che per vent'anni abbiamo schivato e, sembrava, risolto:
odiare noi stesse, definitivamente».
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