Lasciò la malavita per passare a miglior vita: fu assunto come custode, a tempo determinato, presso una scuola primaria di Badia Tedalda, luogo della disidentificazione. Trovò tre stanze a trecento euro al trimestre, sicché ebbe modo di mettere da parte, anche se stesso. Usciva poco, giusto per recarsi al lavoro e fare un po' di niente, giacché c'era più gente in casa che fuori: fuori, infatti, non c'era nessuno; in casa, almeno, c'era lui. Si parlava e, per rispetto, a volte si dava del voi. «Vi ho in pugno», diceva per celia ai suoi coglioni. Si cucinava il passato di delitti contro il patrimonio, il matrimonio e la quiete pubblica, aggiungendo curry, come con la minestra di zucca. Digeriva. Aveva tempo, anche se se lo lasciava scorrere addosso, come sabbia in una clessidra (per questo, con fatica e molti fiaschi, tentava spesso la verticale: per ribaltare il tempo, ripartire daccapo).
Un giorno si soffermò un po' più a lungo del solito davanti allo specchio e non si riconobbe. Provò a chiamarsi al telefono, ma risultava occupato. Si messaggiò e scrisse: «Io non sono più io, ma un altro. Domani andrò a cambiare generalità all'anagrafe».
E fu domani.
All'anagrafe, la gentile impiegata originaria di Acireale, gli spiegò che non era così semplice dimostrare di essere un altro, a meno che non avesse cambiato sesso o le autorità gli avessero concesso una nuova identità per sfuggire alle grinfie di qualche organizzazione criminale.
«Ma io non sono sfuggito né da grinfie né dai miei genitali. Semplicemente non sono più io. Io sono un altro. Facile da capire, no?».
«No», rispose la gentile impiegata originaria di Acireale. «No, non è facile da capire».
«Allora le spiego».
Ci fu bisogno di una pausa caffè, anche da parte del redattore della presente.
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