« In quel punto, come evocata
di tenebra, dall’usciolo socchiuso della scaluccia approdante in
bottega […], si affacciò, e poi zampettò sul mattonato freddo qua
e là con certi suoi chè chè chè chè tra due cumuli di maglie,
una torva e a metà spennata gallina, priva di un occhio, e legato
alla zampa destra uno spago, tutto nodi e giunte, che non la smetteva
più di venir fuora, di venir su: tale, dall’oceano, la sàgola
interminata dello scandaglio ove il verricello di poppa la richiami a
bordo e tuttavia gala d’una barba la infronzoli, di tratto in
tratto: una mucida, una verde alga d’abisso. Dopo aver esperito in
qua in là più d’una levata di zampa, con l’aria, ogni volta, di
saper bene ove intendeva andare, ma d’esserne impedita dai divieti
contrastanti del fato, la zampettante guercia mutò poi parere del
tutto. Spiccicò l’ali dal corpo (e parve estrinsecarne le costole
per una più lauta inspirazione d’aria), mentre una bizza mal
rattenuta le gorgogliava già ner gargarozzo: una catarrosa
comminatoria. A strozza invelenita principiò a gorgheggiare in
falsetto: starnazzò spiritata in colmo alla montagna di que’
cenci, donde irrorò le cose e le parvenze universe del supremo
coccodè, quasi avesse fatto l’ovo lassù. Ma ne svolacchiò giù
senza por tempo in mezzo, atterrando sui mattoni con nuovi acuti
parossistici, un volo a vela de’ più riusciti, un record: sempre
tirandosi dietro lo spago. Parallelamente allo spago e alla infilata
dei nodi e dei groppi, un filo di lana grigio le si era appreso a una
gamba: e il filo pareva questa volta smagliarsi da reobarbara ciarpa,
di sotto al ridipinto ciarpame. Una volta a terra, e dopo un
ulteriore co co co co non si capì bene se di corruccio immedicabile
o di raggiunta pace, d’amistà, la si piazzò a gambe ferme davanti
le scarpe dell’allibito brigadiere, volgendogli il poco
bersaglieresco pennacchietto della coda: levò il radicale del
medesimo, scoperchiò il boccon del prete in bellezza: diframmò al
minimo, a tutta apertura invero, la rosa rosata dello sfinctere, e
plof! la fece subito la cacca: in dispregio no, è probabile anzi in
onore, data l’etichetta gallinacea, del bravo sottoufficiale, e con
la più gran disinvoltura del mondo: un cioccolatinone verde
intorcolato alla Borromini come i grumi di solfo colloide delle acque
àlbule: e in vetta in vetta uno scaracchietto di calce, allo stato
colloidale pure isso, una crema chiara chiara, di latte pastorizzato
pallido, come già allora usava. »
Carlo
Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti,
Milano 1957 (capitolo 8).
Mi capitata raramente di piegarmi in due dalle risa per una lettura. Ancor più raramente mettermi ad applaudire e, subito dopo, a ricopiare quanto ho letto.
E festeggiare la madre: lingua.
3 commenti:
Rispetto poche cose, ormai, non già perché io sia sprezzante e superba ma piuttosto perché la quasi totalità del mondo s'è lasciato pervadere in troppi suoi aspetti dall'indegnità e dalla mediocrità.
Certa letteratura consola, ne convengo: un estratto davvero irripetibile, così come il talento del suo autore.
meraviglioso Gadda. Il mio scrittore preferito
Invenzione letteraria, intrisa di umorismo, crudele e creativo come raramente. Il mio autore preferito, non c'è dubbio.
Posta un commento