«Del catalogo non resta che la numerazione, e della numerazione il numero uno abbigliato in trucco di donna, e quindi truccato di niente.
Trucco che più si lascia guardare e più attira nella sua vertiginosa cifra. Vertigine della cifra. Sollazzo più certo a un matematico che a un amatore.
La donna. Non si può che contarla in Leporello e mai trovarla in Don Giovanni. È mai trovandola che Don Giovanni s'“indonna”.
Quel che qui ritorna puntuale tra odor di femmina e lenzuola sfatte è sempre l'impossibilità di coucher avec. Milletré occasioni mancate.
… Tacciato da certa saggistica di piglio femminista d'“impotenza”, celebrato da Da Ponte piuttosto come campione di potenza mascolina, trovo che sia davvero finalmente il caso di restituire a Don Giovanni la femminilità che gli è propria – milletré volte derubato, milletré volte se ne riappropria –.
Di ogni donna messa a nudo il corpo è terra irriducibile, limite che esclude ogni conquista. “Conquista” ogni volta in Don Giovanni è la sua stessa perdita, in quel deliquio che disfa illusione di qualunque sesso e dei sessi la relazione. Conquistatore, sì, Don Giovanni, ma del suo proprio scacco. “Matto” di milletré disavventure, più che fallire non può il seduttore nella rovina in sé che germoglia e dilaga al femminile.
Il donnaiuolo per eccellenza non troverà mai più donna in corpo di donna. Gli fu fatale aver distolto un attimo l'occhio. Da quanto osceno si mostra al desiderio ecceduto.
Tant'è che in una eventuale mise en scène del Don Juan, a dirla tutta sulla impossibilità della congiunzione tra i sessi, abbandonerei Donn'Anna e tutte le Donn'Anne della terra a smaniare ignude sole in su la scena, lasciando a Don Giovanni il piacere di masturbarsi altrove.
Spettacolo grandioso, invero, di debolezza».
Carmelo Bene, “Ma quelli che vedono, non vedono quello che vedono...”, da Sono apparso alla Madonna, in Opere, Bompiani, Milano 1995 (pagg. 1141-1142).
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