giovedì 17 gennaio 2013

C'era due volte il monsignor Mamberti

Ogni tanto conviene andare a leggere cosa dicono dalle parti dell'organo d'informazione della Conferenza Episcopale Italiana. Conviene, sì, perché si trovano perle argomentative che brillano tra le tante pietre grigie dei soliti discorsi di politica nostrana. 
Oggi, per esempio, ho trovato la trascrizione di un'intervista rilasciata a Radio Vaticana da Monsignor Dominique Mamberti, segretario per i rapporti della Santa Sede con gli Stati. Copio e incollo alcune parti, cercando di commentarle via via. 
«[...] le questioni relative alla libertà di coscienza e di religione sono compless[e], in particolare in una società europea caratterizzata dall’aumento della diversità religiosa e dal relativo inasprimento del laicismo».
Negli ultimi anni, diciamo: negli ultimi dieci anni, sono diventato, gradualmente, laicista - lasciando cadere a terra, via via, ogni forma di personale credenza religiosa. Ciò nonostante, non mi sembra affatto di essermi inasprito, anzi: se fosse appropriato descrivere con un frutto lo smarrimento della mia (già poca) fede, non è a un limone o a un pompelmo che penso, bensì a un fico o a un caco (diospero) autunnali, dolci, morbidi, e dal gusto lungo.
«È reale il rischio che il relativismo morale che si impone come nuova norma sociale venga a minare le fondamenta della libertà individuale di coscienza e di religione. La Chiesa desidera difendere le libertà individuali di coscienza e di religione in ogni circostanza, anche di fronte alla “dittatura del relativismo”. Per questo, è necessario illustrare la razionalità della coscienza umana in generale, e dell’agire morale dei cristiani in particolare. Quando si tratta di questioni moralmente controverse, come l’aborto o l’omosessualità, deve essere rispettata la libertà di coscienza. Piuttosto che un ostacolo allo stabilimento di una società tollerante nel suo pluralismo, il rispetto della libertà di coscienza e di religione ne è condizione.»
Parlare senza dire realmente quello che si vuole dire, ma lasciarlo intendere tra le righe, in modo che, chi deve capire, capisca, quando coinvolge la sfera personale è un modo aggraziato e non sfacciato di tentare di comunicare qualcosa a qualcuno, oppure di lanciare delle timide richieste di aiuto; quando invece coinvolge la sfera pubblica (politica o religiosa) è un parlare omertoso, da figli di puttana morali. 
Che cos'è, infatti, nel concreto, secondo la Chiesa, il «relativismo morale» detto altresì «dittatura del relativismo»? Come l'oracolo di Delfi, monsignor Mamberti non dice né nasconde, ma accenna. La chiave dell'accenno è la difesa delle «libertà individuale di coscienza e di religione in ogni circostanza», vale a dire, egli strepita affinché gli Stati laici, in particolar modo l'Italia, terra dei politici tappetino del cattolicesimo, lascino liberi alcuni particolari dipendenti dello Stato (i medici ginecologi in particolare, ma anche, forse, i futuri sindaci, o altre autorità competenti in materia di diritto civile) di non ottemperare alle leggi scritte, avanzando la pretesa della libertà di coscienza. In buona sostanza, la Chiesa vuole che l'Europa non rompa i coglioni a quegli stati che chiudono un occhio di fronte al mancato svolgersi di un diritto dei cittadini, qualora le leggi prevedano, per esempio nel caso dell'aborto, che se una donna vuole interrompere la gravidanza in una struttura pubblica non debba trovarsi di fronte il dottore obiettore che ne ostacola le intenzioni e la faccia dannare perché lui è cattolico e non vuole, vada affanculo, amen - e se dopo la donna in questione, umiliata e offesa, si ribella rivolgendosi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, e se questa istituzione condanna lo Stato italiano e gli impone di adempiere ai suoi doveri, ecco che la Chiesa chiagne per fottere ancora di più lo spazio di laicità (e di adempimento del diritto civile) che uno stato liberale deve garantire.
«Rivolgendosi, la settimana scorsa, al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI sottolinea che: per salvaguardare effettivamente l’esercizio della libertà religiosa, è quindi essenziale rispettare il diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà sfiora principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella stessa dignità della persona umana. Sono come i “muri portanti” di qualsiasi società voglia definirsi veramente libera e democratica. Di conseguenza, vietare l’obiezione di coscienza individuale e istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, aprirebbe al contrario – paradossalmente – le porte all’intolleranza e ad un livellamento forzato. L’erosione della libertà di coscienza testimonia altresì una forma di pessimismo nei riguardi della capacità della coscienza umana a riconoscere quanto è bene e vero, a vantaggio della sola legge positiva che tende a monopolizzare la determinazione della moralità. E’ anche il ruolo della Chiesa ricordare che ogni uomo, qualsiasi sia il suo credo, è dotato dalla sua coscienza della facoltà naturale di distinguere il bene dal male e quindi di agire di conseguenza. In questo risiede la fonte della sua vera libertà.»
Avete inteso? La coscienza umana sarebbe capace di riconoscere quanto è bene e vero. Ma, di grazia, qual bene o qual vero? Quello cattolico, e che cazzo, disse la marchesa. Il bene e il vero non plus ultra ce li ha il cattolicesimo, dacché i laicisti son troppo relativi. I laicisti sono così poco propensi al bene e al vero che da essi (assoluti) prendono debite distanze; magari gestiscono il bene e il vero in modo relativo a seconda delle circostanze; perché sono “dittatori” tali che, anche per fottere, chiedono l'altrui consenso, non forzando, non imponendo il loro bene, il loro vero alle persone che non lo gradiscono.


A parte.
Il titolo del post richiama un famoso libro di Gianni Rodari, C'era due volte il barone Lamberto. L'assonanza Mamberti-Lamberto lo ha provocato. Insieme a ciò, notevole è la somiglianza tra gli impiegati del barone Lamberto, e i monsignori impiegati del Papa (Mamberti tra questi), i primi avendo come compito quello di ripetere in continuazione il nome del barone, i secondi quello di additare continuamente lo spauracchio della dittatura del relativismo.

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