ché gli restava quello che credevano.
Così si sopravvive d'interesse:
così ci s'interessa a che qualcuno
muoia per noi:
ché amare quello in cui si crede
noi non crediamo a quello che si ama...
In questo modo il volto d'un musicista
può esibirsi in moneta corrente:
Fortuna nostra che possiamo spendere
anche quanto non fu mai guadagnato.
Fortunato chi s'intende di musica!
Suonare non è mai esser suonato!
Non si ha fede nella fede che abbiamo.
Tutti credono in quello
che non sanno fare.
Carmelo Bene, Credito Italiano V.E.R.D.I., in Opere, Bompiani, Milano 1995
Credere in quello che non si sa fare, la politica per esempio. Tutti i candidati credono di saper fare politica, ci credono così tanto, alcuni appaiono così convinti che a guardarli e ad ascoltarli, senza una minima diffidenza o distacco, si finisce spesso per crederci anche noi alle lor fandonie.
Durante la campagna elettorale, luogo delle promesse, alcune delle quali solenni - fatte da persone maggiorenni a persone maggiorenni, sennò chi le fa rischia di essere accusato di adescamento minorile - spariscono dubbi e incertezze; e i candidati si presentano come prodotti di mercato che l'elettore/consumatore deve scegliere durante il carosello televisivo. È evidente che, con questo meccanismo, chi sa meglio promuovere se stesso, ha più possibilità venga scelto dallo scaffale mediatico e poi votato - nel cassonetto della cabina elettorale.
È anche per questo che Berlusconi preferisce i luoghi della pubblicità a quelli della realtà: le strade, le piazze... più che una questione di sicurezza, è la dimostrazione che egli confida a fortiori nel telespettatore più che nel cittadino che prende una bandiera e va in piazza a tifare per lui.
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