Avevo detto:
«Continua domani». Come continuo? La cosa migliore sarebbe mettersi
qui e riscrivere per intero (ricalcare) il capitolo primo del Libro
primo del Capitale, La merce, alla
maniera di Pierre Menard con il Quijote.
A
riassumere i capolavori, di
solito, si rischia di
tradirli. Ricopiarli è l'unico modo per rendere
omaggio: il
corpo del Capitale,
il suo valore d'uso
«si realizza soltanto nell'uso, ossia nel consumo».
Consumare Il Capitale, quindi, nella speranza di assimilarlo.
«
Ognuno sa, anche se non sa nient'altro, che le merci posseggono una
forma di valore, che contrasta in maniera spiccatissima con le
variopinte forme naturali dei loro valori d'uso, e comune a tutte: la
forma di denaro. Ma qui si tratta di compiere un'impresa che non è
neppure stata tentata dall'economia politica borghese: cioè di
dimostrare la genesi di questa forma di denaro, dunque di perseguire
lo svolgimento dell'espressione di valore contenuta nel rapporto di
valore delle merci, dalla sua figura più semplice e inappariscente,
fino all'abbagliante forma di denaro. Con ciò scomparirà anche
l'enigma del denaro. »
Ecco,
Marx svolge una vera e propria impresa alla fine della quale non solo
l'«enigma del denaro» viene risolto, ma, più ancora a monte,
viene svelato l'arcano della merce, della forma che assume
e del valore che essa contiene.
Per ritornare a quanto ieri abbozzato.
Capire come funziona la produzione di merci in un regime capitalistico è il primo passo per accorgersi che esso non è un sistema produttivo naturale dato una volta per tutte, il solo e unico possibile, il garante della cosiddetta libertà civile e democratica e del pieno sviluppo della dignità umana (col cazzo). Bensì: il capitalismo è una prassi produttiva che deve essere superata - come non lo so, devo studiare, devo immaginare - perché:
a) l'umanità rischia di collassare per la sovrapproduzione e non per la carestia (anche se la carestia presente nel mondo è dovuta agli squilibri da sovrapproduzione).
b) è assolutamente insensato che la ricchezza prodotta rimpozzi soltanto e sempre nelle stesse cloache (qualcuno li chiama caveau - tengo al singolare per la nota storia che i vocaboli stranieri non si declinano)
c) la schiavitù del lavoro: chiunque per vivere (sussistere) è costretto a lavorare (a vendere la propria capacità o forza lavorativa per uno scopo che non gli appartiene, ovvero che appartiene ad altri che ne spremono plusvalore) è uno schiavo... del lavoro.
d) è domenica di luglio, vado a prendere il sole.
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