«Dal 2007 [...] il debito globale mondiale è cresciuto di altri 57mila miliardi di dollari facendo salire il rapporto tra debito e Pil (sempre a livello globale) di 17 punti percentuali. A fine 2014, sette dopo la più grave crisi dal Dopoguerra, il mondo ha cumulato un debito complessivo di 199mila miliardi di dollari, quasi tre volte il valore del Pil globale [...].
A spingere le economie mondiali ad aumentare la leva finanziaria sono state proprie le politiche monetarie ultra-espansive e i tassi tendenti a zero con cui le Banche centrali hanno evitato il crash finanziario del sistema bancario mondiale. Una cura di iniezioni massive di liquidità che hanno sorretto il mondo sul ciglio del burrone tra il 2008 e il 2009, ma che hanno finito come effetto collaterale a spingere famiglie, imprese e Governi a indebitarsi sempre più. Il costo dei soldi a prestito è talmente infimo che induce a investire a debito. Un circolo virtuoso che ha permesso alle economie mondiali di non collassare, ma che ha in sé i germi della follia finanziaria. Tutto quel debito, più di quello che ha fatto da miccia al deflagrare della crisi, è oggi ancora lì. Una montagna di denaro che andrà restituito. È proprio qui il punto chiave per il futuro. Scampato il crac, le economie si sono riprese, ma a un passo di marcia assai più blando degli anni Novanta-Duemila. Un mondo che cresce piano rispetto al passato ma che ha più debiti di prima, dato che il fardello è aumentato di ben 57mila miliardi, l'intero Pil
mondiale dell'anno scorso.»
Fabio Pavesi - Il Sole 24 Ore dell'Avvenire
Quindi, manifestamente, viviamo in un mondo a debito. In pratica, tutte le nazioni della Terra sono indebitate (non soltanto le nazioni). Se distinzione ha da farsi è tra gli Stati che sono insolventi, tipo la Grecia e gli Stati che invece dichiarano che saranno solvibili quandunque, al limite anche con qualche bomba atomica. Insomma: quel che conta è la credibilità. O la credulità. O la fede. Misteri della Fede.
Annunciamo la tua morte, o capitalismo, foss'anche tra qualche secolo (cit. ma non ricordo autore e luogo).
Da buon ultimo, mi sembra di aver imparato una cosa: dare la colpa alla finanza della situazione è travisare la sostanza delle cose. La finanza non ha fatto altro, non fa altro che procrastinare il presumibile fallimento di un sistema produttivo che oramai fa soltanto conto su di essa per superare i propri limiti, dato che il capitale “concreto” non riesce a valorizzarsi senza l'aiuto del capitale “fittizio”. E dato che lo scopo della produzione capitalistica non è nient'altro che ottenere più denaro di quanto è stato anticipato non resta che affidarsi alla speculazione, ché la cosiddetta economia reale non ce la fa più a garantire gli attesi profitti.
«Se la speculazione, verso la fine di un determinato periodo commerciale, entra in scena per precorrere il crollo, non si dovrebbe dimenticare che la speculazione stessa è stata generata nelle fasi precedenti di quel periodo, e perciò ne è un risultato e un aspetto esteriore, e non ne rappresenta la causa ultima e l'essenza. Gli economisti politici, i quali affermano di poter spiegare le convulsioni regolari dell'industria e del commercio con la speculazione, assomigliano a quella scuola, ora estinta, di filosofi della natura che consideravano la febbre come la vera causa di tutte le malattie.» Karl Marx, 1857, citazione trovata in E. Lohoff - N. Trenkle, Crisi: nella discarica del capitale, Mimesis, Milano-Udine 2014
Purtroppo, la scuola riformista (quale che sia la corrente: keynesiana, austriaca, eccetera) non è ancora estinta.
2 commenti:
altro che estinta
[ad un certo grado di sviluppo è lo stesso] capitale che muta in aneurisma che va a ingolfare le arterie dove corre il più succoso dei profitti, l'aureo, mitico plusvalore
enormi ricchezze cumulate in passato e miseri gruzzoli devono o svanire o centralizzarsi, a volte sottratti ai loro meschini proprietari nominali
è questo il mondo che procede per crisi e funamboliche accellerazioni
correre! correre! correre! oppure rovinosamente cadere!
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