«Una vita che mi è
alleata per tutta la vita:
ecco il miracolo del matrimonio. Una vita che vuole il mio bene
quanto il suo, perché si confonde col suo: e se non fosse per tutta
la vita sarebbe ancora una minaccia (quella minaccia che sempre è
latente nei piaceri che ci procura una “relazione” amorosa). Ma
quanti uomini conoscono la differenza fra un'ossessione che si
subisce e un destino che si sceglie?
La
chiariremo dunque con un esempio molto semplice.
Essere innamorati
non significa necessariamente amare. Essere
innamorati è uno stato; amare un atto. Si subisce uno stato, ma si
decide un atto. Ora, l'impegno
che il matrimonio comporta non potrebbe onestamente applicarsi al
futuro di uno stato in cui ci si trova oggi; ma può e deve implicare
l'avvenire di atti coscienti che ci si assume: amare, restar fedeli,
educare i propri figli. Si vede qui la differenza tra il significato
della parola amare nel mondo dell'Eros e nel mondo dell'Agapé. La si
coglie ancor meglio quando si constati che il Dio della Scrittura ci
ordina di amare. Il
primo comandamento del Decalogo “Amerai il Signore Dio tuo, con
tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta la tua mente”, non
può riferirsi che a degli atti. Sarebbe completamente assurdo
esigere dall'uomo uno stato di sentimento. L'imperativo “Ama Dio e
il tuo prossimo come te stesso” crea strutture di rapporti attivi.
L'imperativo “Sii innamorato” sarebbe vuoto di significato o, se
fosse realizzabile, priverebbe l'uomo della sua libertà».
Denis de Rougemont, L'amore e l'Occidente, Paris 1939, edizione italiana BUR, Milano 1993.
Apriamo
il dibattito.
Amare
è una rottura di coglioni, come lavorare al catasto una vita in
attesa della pensione.
Essere
innamorati, invece, è come il raffreddore: non vedi l'ora che
finisca.
Come
la mettiamo tra stato e atto e, viceversa, tra atto e stato?
Non
la mettiamo, lasciamola in terra la questione, ci crescano sopra
gramigna e passiflora.
L'imperativo
del primo comandamento, prima ancora di creare strutture di rapporti
attivi, crea rapporti di fede, crea credenza,
qualcosa cui appoggiarsi o appoggiare qualcosa sopra, o riporre un alcunché nei
cassetti, la vita per esempio (documenti, mutande, calzini, lettere
d'amore scritte a penna).
Se, tutto sommato, data l'Entità, amare
Dio è piuttosto facile, più complicato e impegnativo è amare il
prossimo. Quanto prossimo va amato per esempio? Tutto? Come faccio ad
amare il candidato presidente del Burundi, per esempio? O quelle
grandissime testedicazzo assassine fetenti che hanno imbottito di
tritolo un bastardo assassino suicida credente a Suruc, cittadina turca al confine con la Siria, uccidendo una trentina di
giovani? Per stare a
quest'ultimo caso: l'assassino
suicida ha amato se stesso come il prossimo, in quanto uccidendosi ha creduto di fare del bene a sé.
Converrete
che è più semplice l'atto di fede a Dio anziché al prossimo,
proprio in virtù che
il prossimo esiste mentre Dio
chissà.
Ma
torniamo al matrimonio: sì, è senz'altro un atto che prevede un
patto, questo: garantire una serena convivenza alla fine dello stato.
Le eccezioni, seppur numerose
nell'uno e nell'altro verso, non sono contemplate.
Concludiamo con un cenno sulla condanna della Corte Europea dei Diritti umani all'Italia perché non ha ancora riconosciuto, nel proprio ordinamento giuridico, i diritti delle coppie gay.
A tal proposito - a fava oserei dire - viene in ausilio una sentenza storica della Corte di cassazione che riconosce il cambio di sesso anagrafico senza operazione chirurgica. Bene, credo che farebbe scuola la prima coppia gay che, per sposarsi, opterebbe per il “sacrificio” sessuale anagrafico di uno dei futuri coniugi, andando così a metterlo a quartabuono ai ritardi legislativi di uno Stato che, finché potrà, farà il pesce in barile.
2 commenti:
...a me torna in mente l'opzione di dichiararsi omosessuali per essere riformati alla leva, e i pochi eroi o disperati che vi ricorrevano. certo, so' altri tempi...
marino voglio off
Come mai "off"? Perché "on" è il ventilatore?
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