Perché sono qui? Non vorrei esserci, vi sono costretto, spalle al muro anche se al muro le spalle sono di qualcun altro, il curatore fallimentare presenta il conto, inutile incazzarsi con lui e infamarlo, spingerlo, agitare le mani davanti alla sua faccia, gli indici soprattutto, per veicolare meglio la rabbia, il debito, il fatto che sono nel posto sbagliato al momento sbagliato, in una costrizione nei confronti della quale niente ho fatto per ribellarmi, mi ci sono adagiato, convinto di sapermi difendere, saperla domare, saltarci sopra e percorrere le ore, i giorni, una vita, una necessità accessoria. Guardarsi intorno e non trovare alcuna uscita di sicurezza.
Ma forse.
Sono qui perché nessuno me l'ha detto, nessuno mi ha costretto, spalle comode allo schienale d'una sedia. Se il curatore bussa, gli dico di passare più tardi, anche domani, do retta soltanto a quel che il corpo richiede, movimenti peristaltici perlopiù o di altra fattura, meno involontaria. D'altronde, in principio era l'ascolto ed è cosa altamente raccomandata rivolgere le orecchie verso l'interno, dentro il proprio caos non originario, bensì originato dalla propria tranquilla insoddisfazione.
Fammi andare, va.
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