Lei
era bella, io meno: eravamo una bella coppia a metà.
Io
l'amavo, lei non so, eravamo sempre sull'incerto. Accettava il mio
amore perché si sentiva lusingata, dato che io sapevo amare bene,
era il mio mestiere preferito. Lo facevo a ore, infatti, e faticavo d'amore così tanto che non vedevo l'ora di
finire la giornata. Andavo a letto esausto e scornato: sprecavo così
tanto amore senza esserne del tutto ripagato. Ogni orgasmo era come
uno stipendio: subito speso. Non mettevo niente da parte. Seppi in
seguito che ciò fu una fortuna, potevo correre il rischio di
investire l'amore in un'obbligazione subordinata.
Poi
lei andò via e non volle più vedermi: il mio amore era
licenziato. Lo iscrissi subito nelle liste di disoccupazione, in
cerca di una nuova prenditrice. Una forza d'amore non impiegata non
può sussistere. Infatti, di lì a poco, mi ritrovai tutto l'amore
sul groppone – e non solo sul groppone – a gravare il mio conto
esistenziale.
Decisi di entrare in una filiale della Banca dell'Etruria per vedere se e come
potevo risolvere la questione. Ebbi la fortuna che la direttrice
aveva uno chignon alto dello stesso tipo che portava la mia ex
prenditrice. Le sorrisi guardandola negli occhi. Non
bastò. Capii che le mie riserve d'amore non potevano essere
depositate. Dovetti accendere un mutuo per vederla sorridere. Io, per contro, mi misi a piangere, più tardi, una volta che compresi che cosa era il taeg.
1 commento:
questa è poesia
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