sabato 16 gennaio 2016

Se ne avranno bisogno

«Mandel'štam non faceva nulla per andare incontro al lettore. Aveva bisogno di un interlocutore, di qualcuno che lo ascoltasse quando leggeva i versi appena composti, ma non del lettore. Non si preoccupava di educare il lettore come i simbolisti, né di arruolarlo come i futuristi e poi i “lefovci”. Credo che lo facesse perché portava rispetto al suo potenziale lettore, e se c'è la stima non c'è bisogno di educare né di arruolare.
Mandel'štam considerava il lettore uguale se non addirittura migliore di sé, e da lui si aspettava solo una “lettura partecipe”. Non usava nemmeno la parola “lettore”. Il grido di dolore del 1937: “Lettore, dolce consigliere, medico!” fu provocato dalla sensazione dell'isolamento forzato nei giorni in cui non solo non era possibile pubblicare i suoi versi, ma non li si poteva nemmeno leggere per strada agli amici, ai conoscenti, perché la maggioranza faceva finta di non riconoscerci. In condizioni più normali (non posso dire “normali”, perché non ne abbiamo mai viste), Mandel'štam parlava non dei lettori, ma degli uomini: “Gli uomini conserveranno le poesie, se ne avranno bisogno le troveranno da soli, trovano sempre quello di cui hanno bisogno”».


Nadežda Mandel'štam, Le mie memorie, Garzanti, Milano 1972 (traduzione di Serena Vitale).

2 commenti:

lozittito ha detto...

lui conservò e qualcun altro trovò, a dispetto della ferocia carceraria del socialismo reale
nella frase finale echeggia marx

Luca Massaro ha detto...

Sì. Chissà quanto e come sono studiati i letterati "martiri" del gulag in Russia adesso, se avranno avuto completa riabilitazione, o se l'accademia vigente - assai zelante col regime in corso - li considera ancora maestri del sospetto.