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I primi mesi furono complicati, faticosi, soprattutto per lui. Innanzitutto la ristrutturazione del casolare fu un'impresa assai ardua, che dette un duro colpo ai suoi risparmi; ma più di questo, ciò di cui aveva maggiormente pena, era perdere tempo dietro a geometri, muratori, elettricisti, idraulici, pavimentisti, falegnami... tutte faccende, seppur indispensabili, che lo tenevano lontano dalla poesia.
Anche a sera, quando il viavai delle maestranze era terminato, e tentava di riannodare i fili di una composizione che era in procinto di scrivere, la mente non era abbastanza lucida, sì che per misurare la lunghezza di un verso usava i centimetri, mentre al mattino non era infrequente contasse con gli endecasillabi la lunghezza degli stipiti.
Lei, invece, viveva quel disordine e quel trambusto con una strana serenità: in fondo, quello che aveva desiderato a lungo - diventare compagna del professore - si era realizzato. Inoltre, in tale situazione precaria e confusa, percepiva - a ragione - quanto lui facesse su di lei affidamento per non crollare sotto il peso delle incombenze. Questo la inorgogliva, la faceva camminare sicura sopra i calcinacci e la segatura che occupavano, da mesi, la maggior parte dei locali dell'immobile.
La sera, dopo cena, quando aveva finito di lavare e rimettere in ordine le stoviglie, si sedeva accanto a lui sul bracciolo dell'unica poltrona dell'unica stanza agibile della casa (fatto salvo un cucinotto e un bagno veramente piccolo) - e anche se lui le concedeva ben poche attenzioni, lei restava immobile, tranquilla, anche un po' scomoda a contemplare quella barba arruffata e ispida, e quegli occhialetti quadrati da lettura che gli poggiavano sulla grossa punta del naso punteggiata dai crateri dell'acne.
Dopo circa otto mesi, i lavori di ristrutturazione erano quasi giunti al termine. Restavano soltanto alcuni lavoretti esterni, di poco conto. Il più era fatto. La casa divenne quasi tutta agibile, poteva - finalmente!, esultava lui - avere il suo agognato studio per iniziare a occuparsi di cose serie.
«Caro, devi scusarmi, ma devo dirti una cosa».
«Che vuoi? Non vedi che sto lavorando?».
«Sì, vedo... è che... beh, aspetto un bambino».
«Incinta? Non mi avevi detto che potevi avere figli.»
«Di solito, si dice quando accade il contrario, quando non si possono avere.»
«E invece io davo per scontato che tu non li potessi avere, anche perché io non li voglio.»
«Cosa vuoi? Che abortisca?»
«Non ho detto questo: ho detto che io non li voglio... tra i piedi. Se tu vuoi portare a termine la gravidanza e avere un figlio, va bene, fai pure, nessuno te lo vieta. Soltanto io non voglio sapere niente di belati, pappette, ruttini, ninne nanne e pannolini.»
«E quindi? Quando nasce tuo figlio dove vuoi che vada?»
«Non qui.»
«Ma io non ho nessun altro che te, qui, in questo posto, in questo paese.»
«Torna a casa dai tuoi.»
«Sono orfana.»
«Zii, fratelli, parenti di secondo grado?»
«Smettila.»
«Quando ti scade il tempo?»
«Domani.»
«Ma non me lo potevi dire prima?»
3 commenti:
Svolta spericolata d'impronta cinico-beffarda-irriverente... scalpito per leggere il seguito ;-))
preservativi coglione. preservativi e culo. coglione. adesso te li accolli. ben ti sta.
sceneggiatanapoletana mode /off
bello aho, scalpito anch'io
marino voglio off.
Così impara a scoparsi la pollastra giovane, se fosse stata la moglie sarebbe stata vecchia e non c'era pericolo di gravidanze indesiderate......'sti vecchi rinco mai imparano....
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