«Mentre
il liberalismo non ha fatto altro che criticare la gestione esteriore
e burocratica della società guidata dallo Stato, chiaramente per
favorire il mercato e la sua pretesa libertà d'azione, la critica
radicale dello Stato di Marx vede nel mercato il rovescio della
stessa medaglia: l'autoritarismo dello Stato non è che il pendant
complementare dell'autoritarismo del mercato e il totalitarismo
politico non è che una manifestazione del totalitarismo economico.
Da ogni lato, gli individui non sono liberi perché alla mercé della
burocrazia gli uni ed esposti alle potenze della concorrenza anonima
gli altri. Mercato e
Stato, politica ed
economia non sono che le due facce di una situazione sociale
paradossale, irrazionale e schizofrenica in cui gli individui si
sdoppiano in “homo oeconomicus” e “homo politicus”, in
“borghese” e “cittadino” e si trovano dunque in
contraddizione con se stessi. Sono figure umane
che hanno lo stesso grave difetto e
che non si
deve utilizzare
l'una
contro l'altra,
ma annullarle
in egual misura – certamente facendo di
essi degli “individui sociali concreti” unici, come voleva lo
stesso Marx nella sua critica del lavoro astratto».
Robert
Kurz, Marx Lesen, Frankfurt
am Main, 2000, versione francese Lire Marx, Éditions
de la Balustrade, Paris 2002 (pag. 165, traduzione dal francese mia).
Tra
le baruffe di bassa lega che si sono scatenate in occasione della
morte di Fidel Castro, la cosa che più m'impressiona è
l'anacronismo.
Nessuno che si accorga di colpire a vuoto, di menare fendenti
all'aria, ché l'avversario non esiste. Tutto il mondo tutto –
anche quando c'era il muro di Berlino (ma quando c'era era
indubbiamente più difficile accorgersene) – è informato da una
stessa logica costitutiva: il capitalismo. E la natura del
capitalismo, sia esso di Stato o di Mercato, è sempre la stessa,
ovunque, perché costretta ovunque dalle medesime leggi:
produzione, sfruttamento del lavoro, conquista dei mercati, vendita,
accumulazione, e così via, a ripetere, ripetere tuttavia cercando di
sfuggire all'ineludibile caduta tendenziale del saggio di profitto.
Quel che più abbiamo da temere, come umani, è che prima del profitto cada la specie.
Quel che più abbiamo da temere, come umani, è che prima del profitto cada la specie.
1 commento:
"Quel che più abbiamo da temere, come umani, è che prima del profitto cada la specie."
temete, temete pure.
(chivvidice chessia unadisgrazzia, diceva quer vecchio cinese; e perdippiù 'o diceva in cinesa)
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