Potrei risentirmi, se avessi orecchio per ascoltare le cose che ho detto nel corso degli anni. Purtroppo l'ho perso per strada, l'ho lasciato perdere per darmi una giustificazione sul fatto che certe cose le ho dimenticate. Se altre, invece, le avrò ricordate, mi darò la postura di orecchio assoluto. Ne sono certo, al netto delle varie incertezze, titubanze, insicurezze, menate al can per l'aia che mi caratterizzano. Ho un carattere, sai cara? Non ti piace? È perché non sai coglierne le sfumature, le dissolvenze. È un carattere fatto apposta per vivere solitudini controllate, fatte di debite distanze, di distacchi, di vicinanze, di percezioni, di diagrammi di flusso dove c'è un inizio, uno sviluppo, alcune variabili, una fine. E daccapo. Il tutto riassumibile in una frase: sii te sesso. Pur sapendo che la pratica dell'imperativo è in disuso. Qui è monouso, appunto, come un profilattico. Poco fa ho visto una puntata di una serie americana nella quale due personaggi, distesi su un letto a una piazza di una casa di mare, mentre fuori l'uragano imperversa (che perversi), si accingono a praticarlo, il sesso, quando l'eterosessuale maschile, accorgendosi di aver dimenticato i preservativi, impreca con un tipico «fuck» (il vantaggio di ascoltare in versione originale è pagabile), al che l'eterosessuale femmina gli risponde dolcemente di non preoccuparsi, di andare tranquillo, a diritto, diagramma di flusso, avanti e indietro e fine. Dopodiché, alle dolcezze post coitali, tipo fiatate calde su collo e clavicola, sussegue un dialogo di taglio drammatico nel quale la deuteragonista confessa, tra le lacrime, di non poter avere figli, ché sterile a seguito di una mal eseguita asportazione di un fibroma uterino. Il protagonista, dopo lo sfogo di varie paturnie, che si concludono con l'incendio della casa sotto la pioggia battente dell'uragano, sapremo che la sposerà lo stesso. E te credo: mai lasciarsi scappare una messicana che è riuscita ad attraversare il confine.
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