sabato 26 novembre 2016

Brodo di giuggiole (5)

5
Dal cahier de doléances del poeta-biologo.

«Perché scrivo? Perché mi ostino? Perché vedo là davanti delle ombre che non riesco a definire, figuriamoci ad afferrare? Che siano le parole che mi compongono?
Adenina, Timina, Citosina, Guanina, mie care basi azotate, vi prego, datemi una mano a credere che sono qualcosa in più della somma delle parti.
Lasciatemi libero, nel perimetro concesso. Che lo sforzo compositivo di evoluzione, nel suo incommensurabile svolgimento di ripetizione e variazione, riassuma in me uno scopo che non sia quello del pavone, con il suo pur splendido rituale.
Le mie piume sono in terra, adesso, sbiadite dal guano. Una gallina mugellese ci cammina sopra.»

La solitudine lo stava macerando, lentamente, come vinacce in vinificazione, e senza la certezza di essere un giorno imbottigliato. Più che un ravvedimento nei confronti di colei che aveva mollato tutto pur di stargli accanto (e della figlia che era nata dalla loro unione), fu qualcos'altro che lo spinse a richiamarle a casa, all'incirca un anno dopo, a far loro spazio in quell'eremo che iniziava a soffocarlo come l'interno di un tino in cemento vetrificato.

Questo qualcos'altro erano delle voci, insistenti voci, che lo assalivano di notte impedendogli completamente di chiudere occhio. Se almeno avesse avuto il potere di comprendere quello che dicevano, le voci, egli ne avrebbe potuto approfittare, magari per carpire qualche frase da aggiungere al cahier o meglio da trasformare in endecasillabo sciolto. Come il guano.

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