lunedì 21 novembre 2016

Brodo di giuggiole (3)

3

«In una sorta d'entusiasmo e di stanchezza tipici della disperazione, comincio questo progetto. Dovrei quindi andare in Danimarca per scrivere qualcosa, dovrei guadagnare un milione. Tre giorni e tre notti di panico e di stitichezza spirituale e corporale. Poi ci ho rinunciato. C'è infatti un punto determinato, in cui l'autodisciplina, che è qualcosa di buono, si trasforma nell'autocostrizione, che è maledettamente dannosa. Ci ho rinunciato, dopo aver scritto due pagine e aver inghiottito una scatola di lassativi...»
Ingmar Bergman, (appunti del 1962), in Immagini, Garzanti, Milano 1992

Se il nostro poeta - già biologo, adesso in pensione - fosse inciampato in questo passo bergmaniano, probabilmente non avrebbe più fatto confusione tra autodisciplina e autocostrizione, e alle perette di camomilla tiepida, avrebbe preferito la dolce euchessina.

Invece niente. Dalla mattina al tramonto, fatto salvo una brevissima pausa per il pranzo, si rintanava nel suo studio, seduto alla scrivania o affacciato alla finestra, e pensava, pensava a quello che doveva scrivere, ombre che gli passavano davanti agli occhi ma che faticosamente riusciva a trasformare in versi.

Per sua fortuna, l'ex assistente, ora compagna, era lontana in quei giorni - l'aveva convinta, abbastanza facilmente, seppur a prezzo di un ulteriore sacrificio economico, a trovare una sistemazione per lei e la bambina, un piccolo monolocale adibito a casa vacanza nei i mesi estivi (adesso libero), giù nel centro del villaggio.

Solo, dunque. La casa intera a disposizione. Silenzio. Un momento ideale per iniziare l'opera.

Un giorno di tardo autunno, dopo aver trascorso ore e ore intento a fissare una moltitudine di vermi spiaggiati sul lastricato di porfido, il Nostro protagonista - al quale ancora dobbiamo dare un nome, ma lasciamola in sospeso la questione per il momento - aveva buttato giù alcuni versi che - immaginava - avrebbero potuto essere il mottetto di apertura della sua prima raccolta. Certo, ancora di molto labor limae abbisognavano; nondimeno, era moderatamente soddisfatto:

Per ammazzare il tempo
un lombrico ammazzo,
l'amico che un giorno
del mio corpo farà scempio.
Una vendetta anticipata
servita su un piatto ancora caldo.

Lo guardo il lombrico sezionato:
una parte spiaccicata sul selciato
da un passo disattento:
non un lamento, non un grido:
che nobile portamento.

Mentre sillabava i versi davanti alla nudità di un salice fradicio di pioggia, sentì un rumore di pneumatici avvicinarsi verso casa. Era un giovane messo notificatore inviato dal comune, che gli portava il certificato elettorale. 

9 commenti:

lozittito ha detto...

ce lo sapevo che il Nostro sotto sotto era gay

Anonimo ha detto...

E' de coccio, sperava forse di s-fuggire alla ragion di stato? Il voto è sacro, la costituzione.... a seconda degli interessi e fortuna che era solo il messo......

Luca Massaro ha detto...

Avvertenza: il presente "Brodo" è un work in progress, anche se segue una traccia minima, un'idea che gira intorno ai due (o tre) personaggi principali. Per questo, seppur non ci avessi pensato, accolgo, caro Zittito, la suggestione che il Nostro possa avere un sussulto di gaietà e - ma tu guarda - proprio legato al messo che gli porta il certificato elettorale a casa. Da precisare, o caro Anonimo, che al momento, nella storia siamo intorno a metà anni '80, e che appunto, a quell'epoca, per ogni consultazione elettorale, i comuni inviavano ai propri residenti il certificato per partecipare alle elezione tramite dei "messi comunali" impiegati alla bisogna (l'ho fatto anch'io tale mansione: 5/600 certificati, mi dettero 300mila lire). Insomma non è come adesso che abbiamo il tesserino da timbrare.

Anonimo ha detto...

Ohhh , porca miseria, se non fosse perché io non mi sono mai laureato in Biologia, la storia mi sfiora...non foss'altro perché proprio sui "vermi" ci presi un bel 30 in Zoologia Sistematica ,sotto le zanne di un Mammut impagliato.
In compenso, all'epoca, (tardo giurassico), mi trovai in compagnia di una dolce fanciulla sui sentieri di un laghetto prealpino, una sera in cui centinaia di Rospi avevano deciso di accoppiarsi.
Per mia fortuna, non mi sono occupato di Rospi, ma di vermi sì ,ogni tanto.
Peccato non aver più avuto a disposizione un microtomo.

caino

quattrocani ha detto...

C'è bisogno di editing. Cominciamo da questo:
I dipartimenti universitari sono nati con la legge 28/1980. Impossibile quindi che alla fine degli anni '70 il nostro professore facesse parte di un dipartimento di biologia.
Se il nostro aveva 45 anni alla fine degli anni '70, dovrebbe essere nato all'incirca nel 1934. Immaginando che abbia finito il liceo a 18 anni, nell'immediato dopoguerra, e che si sia laureato in scienze biologiche nei quattro anni regolamentari, avrebbe conseguito il titolo di dottore come minimo a 22-23 anni. Verosimilmente non avrebbe potuto salire in cattedra prima dei 30 anni e cioé nel 1964. Immaginare che quindici anni dopo avesse già maturato contributi sufficienti a una pensione tale da consentire una ristrutturazione edilizia radicale (otto mesi con geometri, muratori, elettricisti, idraulici, pavimentisti, falegnami... ) è difficile. Dovremmo ipotizzare o una mente assolutamente geniale (cattedra praticamente immediata dopo la laurea) o l'appartenenza a una famiglia facoltosa (e in questo caso non si capisce il "duro colpo ai suoi risparmi" causato dalla ristrutturazione) o parentele politicamente molto influenti. E in quest'ultimo caso: fuori i nomi!

Luca Massaro ha detto...

caro Quattrocani: vedi a cosa serve aver messo avanti con il work in progress? Potrei modificare una o più delle incongruenze che tu, giustamente, segnali. Tuttavia, per il momento, lascio il tutto com'è, non per negligenza, ma perché correggerò soltanto nel remoto caso questo racconto lungo vedrà uno sviluppo "corposo" e una conclusione (riguardo alla pensione: beh, avrebbe potuto riscattare i 4 anni di università e non precludo che disponesse di vecchi risparmi di famiglia. La legge sui Dipartimenti proprio ignoravo, chiedo venia.)

Rachel ha detto...

Senza star a fare troppo le pulci, trovo questa serie di racconti piacevole da leggere e con una giusta dose di suspense.

Anonimo ha detto...

a quattroca',

me stupisco che a uno occhiuto come te sfugga il fatto che nell'ottobre del 66 spal corsara a san siro e il tredici pagò 98 milioni, coi quali all'epoca si ristrutturava che è 'na bellezza.

siu ha detto...

D'accordo con Rachel e con Riccoespietato. E già che ci siamo, mi allargo... pure con Ingmar Bergman.