«Basta credere a questo e la morte sarà accolta come un beneficio. E così noi siamo piuttosto gli amici di Cesare poiché abbiamo abbreviato il tempo in cui egli avrebbe dovuto attendere paventando la morte. Inchinatevi, o romani, inchinatevi e bagniamo tutti, nel sangue di Cesare, le nostre mani fino ai gomiti e macchiamo le nostre spade del suo sangue: e poi mettiamoci in cammino, per raggiungere il foro e, nel mentre brandiamo le rosse armi sopra le nostre teste, tutti gridiamo come un sol uomo: “Pace, libertà e indipendenza!”».
William Shakepeare, Giulio Cesare, Atto III, Scena Prima, traduzione di Gabriele Baldini, Rizzoli, Milano 1963
Se fossimo veramente amici di Cesare, ovvero dell'Italia, ovvero della repubblica democratica fondata sul lavoro, ovvero del luogo in cui tutti i cittadini dovrebbero essere uguali di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso o di facce a culo; in cui si dovrebbe adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; in cui dovrebbero essere stati rimossi gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori (e con lavoratori metteteci tutti coloro che respirano, cazzo, dai neonati agli anziani) all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese - bene, se fossimo veramente amici dell'Italia, dovremmo abbreviare questo suo attendere la morte: dovremmo ucciderla, sacrificarla, immergere le nostre mani nel suo sangue, per vedere e per capire, da bravi medici autoptici, quanto è stata tradita e vilipesa nel corso di tutta la sua storia.
Con il nostro affidarci alle riforme, al credere a questo o quel beduino di turno, manterremo in vita non il corpo vivo dello Stato e della società, ma i parassiti che divorano e i necrofili che fottono quel che resta di un cadavere.
Stiamo assistendo al fallimento più totale di tutte quelle promesse scritte su un libretto che, tra poco, compirà sessantacinque anni. Peccato, dentro ci sarebbe scritta anche una bella storia, a parte quell'articolo sette che però io leggo in questo modo: siccome Stato e Chiesa sono, ciascuno nel loro ordine, indipendenti e sovrani, Bagnasco faccia i cazzi propri e si tolga quella veste da principe di uno Stato straniero prima di mettere bocca nei fatti interni di uno stato che non gli appartiene (ovvero gli appartiene in virtù del nostro particolare modo italico di essere gregge).
Ma a parte queste deviazioni puntigliose, resta una semplice constatazione da fare, che prendo a prestito dalla cara Olympe:
«Marx ha scritto che ogni epoca si pone solo i problemi che può risolvere, e questo è vero, ma oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più possibile risolverne nessuno senza risolverli tutti»
1 commento:
Oibò, che gran post, che grandissimo post!
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