«“Noi non crediamo più agli dèi lontani / né agli idoli né agli spettri che ci abitano. / La nostra fede è la croce della terra / dov'è crocifisso il figliuolo dell'uomo”. Certo, Fortini quando scriveva questi versi in Varsavia 1939 reinterpretava laicamente l'Incarnazione e la Crocifissione cristiane, ma coglieva implicitamente il vero nodo centrale che lega insieme i vari fili tematici del cristianesimo. Il Logos astratto e remoto dei Greci e l'idolo pesante e inerte del paganesimo erano spazzati via e sostituiti da un soggetto unitario, Cristo, che intrecciava in sé divinità e umanità, immanenza e trascendenza, contingente e assoluto, storia ed eternità, crocifissione e risurrezione. Il cristianesimo esige una fede infitta nella ragione, una divinità insediata nella società».
Il cardinal Gianfranco Ravasi cita alcuni versi di una poesia Franco Fortini, torcendoli al servizio di una causa sbagliata. Se Fortini fosse vivo, domanderebbe il conto a Ravasi, soprattutto in riferimento all'istituzione di cui è principe di corte.
Noi non crediamo più agli dèi lontani
né agli idoli né agli spettri che ci abitano.
Vale a dire: non crediamo più né agli dèi né a Dio, né ai santi e alle madonne sparse in alcuni ameni siti turistici d'Europa
La nostra fede è la croce della terra
dov'è crocifisso il figliuolo dell'uomo.
Ma crediamo alla sofferenza della terra dove, appunto, gli uomini sono crocifissi alla croce del dolore, della disuguaglianza, della sopraffazione.
La Passione di Cristo, come passione, sofferenza dell'uomo, è costantemente parodizzata dalla struttura di potere dalla Chiesa, in quanto la Chiesa è - e non può che essere - la fotocopia del Grande Inquisitore dostoevskiano che riconosce sì - perché non è stupida - dove è il male, ma, per non minare alle fondamenta il suo potere, preferisce che il figlio dell'uomo sia continuamente crocifisso alla croce della terra.
«Il Logos astratto e remoto dei Greci e l'idolo pesante e inerte del paganesimo» non sono stati affatto spazzati via della Chiesa, anzi: nei secoli il logos ecclesiastico, per esercitare la sua influenza, si è incarognito sempre più su prese di posizione assurde, anche di fronte all'evidenza di nuove, inappellabili, scoperte scientifiche; così come il paganesimo cattolico è stato alimentato in maniera vertiginosa per mantenere vivo il pascolo del gregge dei fedeli - e Cristo, nella sua umanità e/o divinità bastarda è diventato un alibi per tenere il piede in due staffe, così da esercitare un potere di suggestione doppio. Per questo «il cristianesimo esige una fede infitta nella ragione, una divinità insediata nella società», perché diversamente non potrebbe accampare pretese terrene.
Ma la ragione, se è ragione, non può non ribellarsi ai dogmi della fede; la ragione non può che avvertire la fede come una spina acuminata nel suo fianco o, peggio, come una zecca che le sugge il sangue parassitandola.
Per essere chiari: io non contesto la fede e chi crede in tale fede. Contesto che si esiga di infiggere la fede nella ragione; contesto che si pretenda di insediare una divinità nella società. Soprattutto: che si impongano ragioni infette di fede a uno Stato che si dichiara, costituzionalmente, laico.
1 commento:
È talmente ragionevole ciò che dici che mi vien da dire solo una cosa: la fede è come l'amore, non ci si ragiona.
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