Un tentativo di comprendere il fenomeno dello “Stato Islamico”
Di
Tomasz
Konicz, 22
ottobre 2014, via Streifzüge,
(traduzione
dal tedesco: sinistrainrete.info)
Deutsch
Deutsch
« Di
nuovo. Di nuovo, il presidente degli Stati Uniti mobilita la
coalizione di tutti quelli disposti ad entrare in campo contro “il
male” (Spiegel Online). Questa volta è il gruppo terrorista “Stato
Islamico” (Isis) che deve essere sconfitto in una campagna di tre
anni, in cui nella prima fase la Forza Aerea degli Usa estenderà gli
attacchi aerei alla Siria. Allo stesso tempo, la Casa Bianca ha
chiesto al Congresso la somma di 500 milioni di dollari allo scopo di
“addestrare e armare i ribelli siriani moderati”, come ha
informato la Reuters.
Questo
approccio fa ricordare una fase precedente della guerra civile
siriana, cioè quando i servizi segreti occidentali, in intima
comunione con i dispotismi fondamentalisti del golfo, come l’Arabia
Saudita, hanno appoggiato l’opposizione siriana, appoggio dal quale
è nato lo Stato Islamico, oltre a una varietà di altre milizie
islamiste. E naturalmente dentro il movimento di opposizione siriana
dominano inevitabilmente fazioni fondamentaliste che sono in
concorrenza con lo Stato Islamico e lottano contro di esso.
Uno
dei principali gruppi ribelli siriani, per esempio, è l’alleanza
fondamentalista Fronte Islamico, il cui leader Hassan Abboud è morto
recentemente in un attentato presumibilmente realizzato dall’Isis.
Il Fronte Islamico rappresenta il maggior contingente tra i ribelli
siriani – e ha contatti stretti con il gruppo jihadista al-Nusra.
È questa stessa filiale siriana di Al-Qaeda, lo Jabhat al-Nusra, che
sta cercando, dopo una pesante sconfitta contro l’Isis, di prendere
le distanze dallo Stato Islamico attraverso la liberazione di ostaggi
americani. Di conseguenza, questi ribelli “moderati” del futuro
completeranno la loro formazione militare nel territorio della
democrazia di riferimento che è l’Arabia Saudita.
Parlando
chiaramente: l’Occidente è ancora una volta in procinto di armare
gli islamisti per combattere gli islamisti – e, allo stesso tempo,
di proseguire i suoi interessi geopolitici, che nel caso della Siria
mirano a rovesciare il regime di Assad. Si pone la questione di
sapere quale gruppo jihadista, che ancora fa parte dell’”opposizione
moderata”, andrà di nuovo fuori controllo entro alcuni anni e
dovrà essere eliminato per mezzo di un intervento militare.
L’Occidente, nella sua lotta contro i mulini al vento del
fondamentalismo islamico, è come il famoso apprendista stregone che
non riesce più a liberarsi degli spiriti da lui evocati a fini
strumentali in questa regione scossa dal fallimento dello Stato.
Non
è solo la geOpolitica dell’Occidente che dà forza agli jihadisti.
I paesi occidentali servono anche come un importante campo per il
reclutamento dell’Isis. Circa 3.000 jihadisti dell’Europa
Occidentale, Usa, Canada e Australia combattono nelle filiere dello
Stato Islamico secondo la stampa americana. Dei circa 31.500
combattenti che hanno aderito a questa struttura terrorista, circa un
terzo è stata reclutata all’estero – principalmente grazie ad
una campagna di reclutamento sofisticata.
Un
attentatore suicida dell’Isis imprigionato nelle regioni curde
autonome della Siria ha raccontato ad alcuni rappresentanti dei media
di un flusso costante di turisti jihadisti da tutto il mondo che
desiderano unirsi ai gruppi di combattimento di questo esercito
terrorista:
“Ci
sono nazionalità di tutto il mondo. Tra loro molti britannici.
Vengono da paesi asiatici, dall’Europa e dall’America. Vengono
qui da ogni parte”.
L’Isis,
dunque, rappresenta una specie di sottoprodotto della globalizzazione
capitalista in crisi. Non si tratta qui di un’insorgenza nativa,
tradizionalista ed emersa da associazioni di clan e “tabù”
regionali, ma di un esercito di occupazione, globalizzato al più
alto grado, che si è costituito nelle regioni al collasso
economico-sociale e politico della Mesopotamia. Quindi, lo Stato
Islamico massacra non solo gli “infedeli”, ma anche i sunniti che
osano opporsi al dominio straniero. Quasi 700 membri di
un’associazione di clan sunniti nell’est della Siria sono stati
letteralmente massacrati dall’Isis a metà agosto, dopo che i loro
leader tribali avevano rifiutato fedeltà ai jihadisti.
Ma
qual è la natura del “dominio straniero” che – perlomeno nella
sua leadership – la truppa jihadista, in gran parte nuova arrivata,
cerca di costruire in questa regione al collasso? Quella che si è
materializzata nella forma dell’Isis è una caricatura furiosa, un
negativo della forma più efficiente dell’organizzazione generata
dal tardo capitalismo: le grandi imprese transnazionali. Lo Stato
Islamico è un’altamente efficiente “macchina da soldi”
(Bloomberg), che è riuscita a produrre un “flusso di entrate di
cassa” permanente grazie agli introiti del petrolio e di altri rami
del business del crimine organizzato. “Lo Stato Islamico è,
probabilmente, il gruppo terrorista più ricco mai conosciuto”, ha
detto un analista americano a Bloomberg.
Questa
impresa terroristica, che pubblica regolarmente “Rapporti e
Bilanci”, ha una struttura interna di comando altamente efficiente
e una macchina militare molto efficace, dispone di un dipartimento
professionale di pubbliche relazioni che si dedica con molto successo
a reclutare nuovi membri – e pratica il Lean Management dei
territori conquistati, la cui amministrazione è lasciata alle
autorità locali, a condizione che giurino fedeltà e prestino
vassallaggio al “Califfato”. Le ramificazioni internazionali di
questa “macchina da soldi” jihadista non si limitano alla
struttura della sua associazione: il finanziamento iniziale dell’Isis
è stato realizzato con l’appoggio finanziario internazionale dei
sostenitori ricchi degli Stati del Golfo.
La
differenza principale tra la grande impresa globale e lo Stato
Islamico è che l’accumulazione di capitale è il fine in sé di
tutte le attività delle grandi imprese multinazionali. E tutte le
devastazioni e distruzioni che il tardo capitalismo provoca agli
individui e all’ambiente sono solo dei sottoprodotti della ricerca
cieca e senza limiti della valorizzazione del capitale, in cui al
dunque consiste il nucleo irrazionale del modo di produzione
capitalista. Per lo Stato Islamico, tuttavia, l’accumulazione di
capitale rappresenta solo un mezzo per un altro fine irrazionale, che
consiste in un lavoro di distruzione e annichilimento il più
efficienti possibile. Non è altro che questo che presentano i
“Rapporti e Bilanci” dell’Isis, elenchi di operazioni
terroriste di successo di questa “impresa”. Dunque, la tendenza
implicita all’autodistruzione inerente al capitalismo, nel caso
dell’Isis viene apertamente alla luce del giorno, rendendosi
esplicita.
Così
lo Stato Islamico usa le forme più efficaci e i metodi di
organizzazione più razionali, prodotti dal tardo capitalismo
tormentato dalla crisi, alla ricerca di un obiettivo folle e
allucinato: l’annichilimento letterale di tutti gli infedeli. Qui
ormai diventa chiaro un paragone con il fino a d’ora maggior
collasso della civilizzazione della storia mondiale, il lavoro di
annichilimento del nazionalsocialismo tedesco. Anche i nazisti fecero
uso delle forme e dei metodi di organizzazione all’epoca più
moderni per creare una fabbrica fordista di morte ad Auschwitz, il
cui “prodotto”, prodotto come in una linea di montaggio, era il
fumo dei corpi umani inceneriti che saliva dai crematori. Così come
i nazisti, nel delirio razzista, costruirono un’efficiente fabbrica
negativa della distruzione umana, per “pulire” il mondo da ebrei,
zingari, subumani slavi o bolscevichi, anche l’Isis si costituisce
sotto la forma di organizzazione di una grande impresa negativa per
perseguire il suo obiettivo delirante di un califfato mondiale
religiosamente puro. La razionalità economicista del capitalismo
occidentale, che è continuamente migliorata con il proposito di
un’accumulazione più efficiente di capitale, vira così nella
barbarie nuda e cruda per mano dell’Isis.
Nella
grande impresa terrorista stabilita dallo Stato Islamico si riflette,
così, l’irrazionalità in crisi della socializzazione capitalista.
Intanto sembra stiano arrivando i primi franchising al mercato del
terrore globalizzato, tentando di copiare la ricetta del successo dei
massacri dell’Isis. La “crescente popolarità” dell’Isis nel
sud-est asiatico potrebbe portare con sé minacce alla sicurezza a
lungo termine, come ha avvertito Al Jazira a metà luglio. Infatti,
il gruppo terrorista nelle Filippine, Abu Sayyaf, ha aderito
recentemente allo Stato Islamico. Anche gli jihadisti dell’Africa
occidentale di Boko Haram, che secondo il Neewsweek controllano un
“territorio delle dimensioni dell’Irlanda”, tentano di imitare
il procedimento dell’Isis con la dichiarazione del loro “Califfato”
africano.
Per
cosa concorrono i gruppi terroristi nel mercato globale del terrore?
Oltre ai contributi finanziari dei sostenitori ricchi dei dispotismi
della penisola arabica, è soprattutto per la merce che il tardo
capitalismo getta fuori in quanto superfluo: esseri umani. Molti
degli attacchi e delle azioni spettacolari dell’Isis – come per
esempio la recente occupazione della diga nei pressi di Mosul –
mirano a un effetto propagandistico, con il quale si pretende
accelerare il reclutamento di nuovo materiale umano. Con successo,
come mostra uno studio negli Usa. Così, in particolare i talebani
afgani, che sono sotto un’enorme pressione militare, hanno subito
un amaro esodo di combattenti stranieri che ora penetrano in
direzione della Siria e dell’Iraq per congiungersi agli jihadisti
locali:
“Combattenti
dell’Uzbekistan, della Cina e della Cecenia hanno poche possibilità
di tornare nei loro paesi d’origine, ma sanno che sono i benvenuti
in Siria e in Iraq, dove Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico lottano
contro il presidente siriano Assad, uno contro l’altro, e nel caso
dello Stato Islamico, contro i curdi, gli iracheni e perfino contro
l’Iran”.
È
l’ammissione del fallimento completo della brutale “guerra contro
il terrore” occidentale, che ha finito per essere effettuata con
metodi terroristi. Dopo circa 13 anni, è sorta una classe globale di
decine di migliaia di guerrieri religiosi senza patria, la cui patria
è la “Guerra Santa”. In contrasto con la rete globale di
Al-Qaeda, questa nuova generazione di jihadisti sta cercando di
conquistare e mantenere territori nelle aree al collasso del mercato
mondiale, per realizzare il suo delirio di un Califfato globale.
Lo
Stato Islamico, nuotando nel denaro, può ricorrere a una moltitudine
di giovani economicamente “superflui” che nella periferia del
sistema capitalista mondiale – e, sempre più, nei centri –
conducono una vita marginale e miserabile. Una paga di poche
centinaia di dollari al mese e la speranza di un paradiso nell’aldilà
sono sufficienti in molti casi per motivare questa gente senza
prospettive, che vegeta nell’inferno degli Stati e delle società
fallite, per entrare nelle fila dell’Isis.
Ma
cosa ha portato migliaia di musulmani dell’Occidente a unirsi alle
reti terroriste jihadiste? Uno studio dell’Istituto per la Difesa
della Costituzione, che ha analizzato i curriculum di circa 400
islamisti che hanno viaggiato dalla Germania per la “Guerra Santa”,
è giunto alla conclusione per cui i musulmani che si sono uniti agli
jihadisti erano in gran parte emarginati. Solo il 12% di questi
guerriglieri religiosi aveva un impiego regolare, la stragrande
maggioranza nel settore dei bassi salari. Solo il 6% ha terminato un
corso professionale e il 2% ha una laurea. Circa un terzo di questi
islamisti già in precedenza era entrata in conflitto con la legge,
principalmente in relazione alla piccola criminalità tipica del
ghetto. Per la maggior parte, quelli che hanno lasciato il paese
erano membri del ceto più basso, che ha condotto una vita precaria
ai margini della legalità nei ghetti informali di stranieri nella
Repubblica Federale Tedesca – fino a cadere in mezzo ai salafiti.
E’ significativo che solo nel 23% dei casi i paesi di questi
guerriglieri religiosi erano praticanti dell’Islam fondamentalista.
Un buon esempio di una carriera, dalla microcriminalità del bambino
del ghetto al guerrigliero religioso, è il caso del rapper Denis
Cuspert, che intanto è asceso al circolo ristretto della leadership
dell’Isis.
Così
non sono in alcun modo i musulmani aggrappati alla tradizione che si
aggregano alla guerra terrorista, come ha detto anche Tarfa
Baghajati, presidente dell’Iniziativa degli Austriaci-Musulmani, in
un’intervista a Radio Free Europe. Ci sono una serie di fattori ai
quali si deve il successo del reclutamento dell’Isis in Europa,
afferma Baghajati:
“Da
notare, in primo luogo, che i giovani che si uniscono a questi gruppi
non avevano precedentemente forti legami con l’Islam né con altri
musulmani. Non hanno mai visitato moschee e alcuni di loro nemmeno
sanno come pregare. E’ per questo che la loro esperienza religiosa
ha una carica emozionale molto forte… Il secondo fattore è che
questi giovani non si vedono come parte della società occidentale.
Essi non sono stati capaci di impegnarsi postivamente in essa.
Inoltre, c’è la discriminazione e indirettamente la
discriminazione contro l’Islam e contro i musulmani, riassumibile
nel concetto di islamofobia”.
I
musulmani reclutati dall’Isis nei paesi dell’Occidente non si
vedono come parte di queste società, perché non lo sono, perché
sono esclusi dalla società del lavoro capitalista in crisi
attraverso l’emarginazione economica e il razzismo crescente.
L’ascesa del razzismo e dell’estrema destra causata dalla crisi
in tutta Europa, che si manifesta nei successi elettorali dell’AFD
tedesca, dell’UKIP britannico o del Fronte Nazionale francese, si
propone di fatto l’esclusione economica dei gruppi che non sono
considerati parte della “comunità nazionale” (“lavoro prima a
chi è tedesco”). L’estrema destra, che promuove l’esclusione
di determinati gruppi della popolazione, rappresenta, quindi, un’arma
ideologica nella lotta della concorrenza in crescita a causa della
crisi. Non sorprende, pertanto, che a livello europeo l’Isis sia
riuscita a reclutare il maggior contingente di combattenti in
Francia, il paese delle banlieues del Fronte Nazionale, afflitto
dalla crisi.
Lo
spostamento verso l’estremismo islamico tra i musulmani europei
rappresenta, così, uno sviluppo parallelo all’aumento, provocato
dalla crisi, dell’estrema destra in Europa. Lo jihadismo militante
e terrorista è, in ultima analisi, una modificazione religiosamente
dissimulata dell’estrema destra, una specie di fascismo clericale
postmoderno e globalizzato. Mentre in Occidente l’identità
nazionale serve da terreno fertile per la crescita delle ideologie
fasciste e di estrema destra, nel circolo culturale arabo la
religione funziona come questo stesso terreno che produce fantasie di
annichilimento. La categoria di razza, che incendiò la furia
distruttiva fascista in Europa, è stata sostituita dalle categoria
degli “infedeli” nello jihadismo clerical-fascista.
Tanto
l’islamismo come l’estrema destra europea rappresentano inoltre
un estremismo del “centro” che porta all’estremo una visione
del mondo chiusa nelle idee e nelle opinioni ideologiche dominanti
nella società. Nel caso dell’Islam è la religione che occupa una
posizione egemonica nel “centro” delle società arabe; nel caso
dell’estrema destra, ciò che è portato all’estremo è
l’identità nazionale, da tempo tramutata nell’idea di luogo di
investimento economico. Entrambe le ideologie possono anche essere
descritte come postmoderne perché rappresentano una via di fuga
ideale dalla crisi e dal fallimento della modernità capitalista.
L’”estremismo
del centro” islamista in ultima istanza può anche essere visto
come una variante del fascismo clericale. Il fascismo – sia il
nazionalsocialismo tedesco, il fascismo cattolico di Franco in
Spagna, o la dittatura fascista di Pinochet nel Cile – rappresenta
una forma apertamente terrorista della crisi del dominio capitalista.
Le tendenze dell’estrema destra e fasciste guadagnano sempre forza
quando la società capitalista borghese-liberale entra in una crisi
economica o politica che minaccia la continuazione di tutto il
sistema, o anche sembra solo minacciarlo (la crisi economica mondiale
in 1929, la vittoria del Fronte Popolare in Spagna nel 1936 o la
vittoria elettorale di Allende in Cile nel 1970).
Sia
nelle grandi città dell’Europa che nelle regioni al collasso della
Mesopotamia – il processo di costituzione dell’estrema destra,
tanto razzista quanto clericale, si sviluppa con traiettorie molto
simili. In reazione agli shock della crisi, alla dissoluzione
dell’ordine esistente, comincia molto spesso una produzione forzata
di identità nelle società in causa. Se tutto si dissolve e va in
disordine, gli individui predisposti all’autorità chiedono un
appoggio – e lo riescono a trovare solo nell’identità, in quel
che sembrano essere: tedesco, francese, sciita, sunnita. La paura del
futuro e le rotture incomprese portano alla nostalgia di anteriori
idilliaci stadi della società del tutto immaginari; sia lo
Stato-nazione razzialmente puro o il Califfato medievale.
Il
grande autoinganno in questa devozione alla politica dell’identità,
chiaramente, è nel fatto che queste identità ormai sono costituite
solo in interazione con la società capitalista in crisi e, dunque,
sono solo espressione identitaria del processo di crisi del tardo
capitalismo. Ciò che è comunemente inteso come “identità
tedesca”, nella Germania contemporanea, ha ben poco a che vedere
con la Germania di inizio Impero e ancor meno con quella
dell’Assemblea di Paulskirche [1848/1849, N.T.]. Lo stesso si
applica all’Islam, che molto spesso era molto più tollerante,
specialmente all’inizio dell’Età Media, di quanto vorrebbero
ammettere gli attuali combattenti religiosi e i costruttori
postmoderni del Califfato. Basta ricordare qui, a titolo d’esempio,
che gli ebrei della Spagna, specialmente nella fase iniziale del
dominio dei Mori (dal 711 fino alla caduta del Califfato di Cordoba
nel 1031) godevano di ampia libertà religiosa e sicurezza giuridica;
furono espulsi dai Re cattolici solo dopo la riconquista definitiva
nel 1492.
L’attuale
orientamento indotto dalla crisi verso l’identità nazionale o
religiosa, che è vista in maniera allucinata come un continuum
storico e immutabile, è quasi sempre associato alla personalità
autoritariamente strutturata delle persone in causa. L’islamista
postmoderno si sottomette all'interpretazione rigida del Corano in
modo tanto cieco quanto i partiti di destra applicano le sacre leggi
del mercato e del culto del capitale (nella forma di una nazione
ridotta a luogo di investimento economico). In entrambi i casi, la
sottomissione porta all'odio verso tutti quelli che non appaiono
applicare ciò allo stesso modo (infedeli, “parassiti sociali”,
disoccupati etc).
Dalla
consonanza che caratterizza tanto il fascismo europeo quanto quello
islamico, di sottomissione e di odio, risulta che questa
sottomissione è pagata con la rinuncia alla pulsione. I portatori di
queste ideologie soffrono segretamente, sotto le linee guida e i
comandamenti aberranti dettati dal feticcio, il Corano e il capitale,
situazione in cui la personalità autoritariamente strutturata
esclude una ribellione contro queste fonti di sofferenza. Ecco perché
la rabbia così repressa è diretta contro nemici esterni immaginari.
E’ inoltre inerente a entrambe le ideologie un’illusione di
purezza tipica della fissazione anale, che nel caso dell’estrema
destra si applica come difesa contro i parassiti della purezza del
popolo, della nazione, o del luogo di investimento economico, mentre
nell’islamismo è distorta dalla mania di preservazione del culto
religioso.
Le
disposizioni autoritarie che guidano l’estrema destra, tanto araba
come europea, sono acquisite durante la prima infanzia nella famiglia
patriarcale o della classe media, designata dallo psicanalista
Wilhelm Reich nel suo studio Psicologia di massa del fascismo,
pubblicato nel 1933, come la “cellula embrionaria dello Stato
autoritario”. Lo Stato e la chiesa continuano la strutturazione
autoritaria dell’individuo iniziata nella famiglia
patriarcal-autoritaria. Centrale qui è la repressione sessuale, come
dice Reich:
“La
strutturazione autoritaria dell’essere umano…è fatta
centralmente per ancorare l’inibizione sessuale e la paura di
fronte al materiale vivo delle pulsioni sessuali. Ossia…la
sessualità è esclusa dalle traiettorie naturalmente date della
soddisfazione dal processo di repressione sessuale, così creando
percorsi di soddisfazione sostitutiva di vario tipo. Per esempio,
l’aggressione naturale aumenta verso il sadismo brutale”.
Queste
osservazioni, tenendo in conto il nazionalsocialismo tedesco, si
applicano anche, ovviamente, alla realtà della vita di molti
individui nei paesi arabi in crisi. Non è solo nel trattamento
brutale delle donne “catturate” dai combattenti dello Stato
Islamico che si esprime il “sadismo brutale” costituito dalla
repressione sessuale, ma anche i brutali attacchi contro le donne
durante la sollevazione in Egitto sono stati alimentati da questa
frustrazione sessuale.
In
parte, l’aumento negli ultimi decenni della pressione sull’uso
del velo in molte società islamiche può essere attribuito
all’interazione della dinamica di crisi economica con
l’islamizzazione relazionata con la crisi. L’Islam proibisce
severamente il sesso prima del matrimonio, ma intanto la crisi della
società del lavoro capitalista produce nel mondo arabo un esercito
di giovani economicamente superflui, che semplicemente non possono
permettersi la fondazione di una famiglia. La repressione sessuale
ideologicamente imposta dall’islamismo, dunque, di fronte
all’aggravamento della crisi, risulta nell’odio esuberante verso
le donne, la cui visione l’islamista può appena sopportare sotto
il velo integrale, senza essere sopraffatto dalla sua pulsione
sessuale degenerata in mero sadismo.
La
messa al bando delle donne dallo spazio pubblico prevista
dall’islamismo, tuttavia, è guidata da un altro fattore, che
risulta dal fallimento della modernizzazione capitalista di questa
regione periferica del mercato mondiale. L’imposizione del
capitalismo è stata accompagnata dalla “scissione” di tutti i
domini della riproduzione sociale che non possono essere assorbiti
dal processo di valorizzazione del capitale, come la cura della casa
e il lavoro con la famiglia, che sono stati allora attribuiti alla
sfera del “femminile”. Il lavoro con la famiglia e domestico è
fino a oggi considerato senza valore, dal momento che non crea
valore, non essendo direttamente parte del processo di valorizzazione
del capitale. La sfera del lavoro creatore di valore, al contrario, è
stata fino a buona parte del XIX° secolo determinata come
esclusivamente maschile; l’uomo “duro” che agisce razionalmente
deve affermarsi come guadagna-pane nel mercato, mentre alla donna è
stata assegnata la sfera privata, sensuale, irrazionale, del
prendersi cura e medicare. Questa scissione tra sfera pubblica
maschile del lavoro creatore di valore (così come della politica,
dell’arte e della scienza) e la sfera femminile del lavoro “senza
valore” ha costituito la base della discriminazione delle donne nei
paesi capitalisti, che solo nella prima metà del XX° secolo verrà
superata, almeno formalmente (il suffragio femminile).
Anche
nella famiglia patriarcale medievale – che in più del 90% era di
fatto una famiglia di contadini – esisteva una divisione del lavoro
tra marito e moglie, ma le loro attività erano in egual modo
orientate alla soddisfazione diretta delle necessità e non
all’accumulazione di capitale. Le categorie pure di valore e lavoro
astratto semplicemente non esistevano, per cui le attività femminili
non venivano svalutate. La demonizzazione della donna, del femminile
sensuale, cominciò in Europa solo nell’inizio dell’era moderna,
sulla scia del collasso dell’ordine sociale feudale medievale e del
sorgere dei primi inizi dell’economia capitalista; solo questa
portò con sé la scissione, mostruosa e incompresa dalle persone di
quel tempo, della sfera del privato femminile relativamente al regime
emergente della valorizzazione del capitale. La demonizzazione delle
donne si espresse con la caccia alle streghe, che dominò con il
pugno di ferro l’Europa e l’America del Nord dal XVI al XVIII e
di cui furono vittime decine di migliaia di donne e ragazze. Centrale
in quasi tutti i processi, che in maggioranza si svolgevano in
tribunali secolari, era l’accusa per cui le presunte streghe
avrebbero praticato relazioni sessuali con il diavolo, o con i
demoni, al fine di ottenere i loro “poteri sovrannaturali”. Ed è
proprio l’allucinata applicazione di queste forze demoniache
femminili che venne utilizzata come accusa per il caos in cui si
trovavano le società protomoderne in via di trasformazione
sistemica.
Non
c’è oggi accusa che metta in maggior pericolo di vita una donna in
Afghanistan, in Libia o in Arabia Saudita quella di avere relazioni
sessuali extraconiugali. La trasformazione sistemica verso il
capitalismo e verso il mercato mondiale, che impiegò secoli
sanguinari per completarla in Europa, ha fatto irruzione nella
periferia con l’intensità di una catastrofe naturale, che ha avuto
luogo in molto meno tempo (alcuni decenni), con la concomitante
scissione dei domini della vita connotati con il femminile e senza
accesso alla valorizzazione del capitale – e deve conseguentemente
aver avuto una pressione ideologica per la legittimazione molto più
elevata, pressione di fronte alla quale le strutture patriarcali
tradizionali dovevano essere poste in concordanza con le “nuove”
forme capitaliste della socializzazione.
La
grande differenza storica tra l’Europa e l’Arabia è che la
modernizzazione capitalista è fallita tra lo Hindu Kush e le
Montagne dell’Atlantes. In questi paesi colpiti dalla crisi, spesso
già colpiti dal crollo dello Stato, non si va ormai stabilendo
alcuna società capitalista del lavoro, capace di promuovere la
secolarizzazione di queste società. Il crollo della modernizzazione
e la dinamica di crisi che con quello si diffonde porta così a un
indurimento dell’ideologia di crisi islamista e all’autentico
tabù del femminile: come se l’occultamento totale e la messa al
bando della donna dalla vita pubblica permettessero agli uomini,
malgrado la crisi globale del capitale, di continuare a operare come
soggetti autocratici del mercato.
Nel
presente barbaro dell’ideologia e della pratica islamiste,
l’Occidente liberale capitalista ritrova, quindi, gli echi del suo
passato sanguinario. Di più: il nucleo barbaro della socializzazione
capitalista viene a galla nell’islamismo estremista così come
nell’estrema destra. Riflessa negli orrori dello Stato Islamico, la
comunità occidentale del valore si guarda allo specchio. Niente
potrebbe essere più sbagliato che accreditare candidamente lo
“scontro di civiltà” proclamato da entrambi i lati estremisti.
La cultura occidentale non è il polo positivo opposto al delirio
jihadista. Nell’attuale crisi sistemica, tanto l’estrema destra
quanto l’islamismo sono distillati dai centri occidentali liberali
del sistema capitalista mondiale.
Ovviamente,
come esposto in precedenza, sul piano geopolitico l’appoggio
politico, finanziario e militare allo jihadismo dagli anni ’80 del
XX° secolo – quando i fondamentalisti islamisti sono entrati in
Guerra Santa contro il comunismo ateo in Afghanistan, con l’appoggio
dell’Occidente – fa parte della geopolitica dell’Occidente. Un
certo Osama Bin Laden potette fare la sua prima esperienza militare
sotto la tutela della CIA in Afghanistan. L’Arabia Saudita, il
regime fondamentalista più brutale del mondo, è una stretta alleata
dell’Occidente, armata al più alto livello con forniture di armi
di migliaia di milioni di dollari.
Ma
è soprattutto la crisi economica che emana dai centri e devasta la
periferia che in primo luogo crea le schiere di giovani
economicamente superflui che, in assenza di prospettive, sono pronti
a unirsi al culto della morte degli jihadisti. La sopravvivenza ardua
nell’inferno delle economie al collasso dell’Iraq, della Siria o
dell’Afghanistan è talmente insopportabile che essi sono disposti
a scambiarla per la prospettiva illusoria di un paradiso nell’altro
mondo.
Infine,
i riflessi ideologici e identitari di questo processo di crisi sono
molto simili tanto in Occidente quanto in Oriente. C’è un ritorno
autoritario dell’identità religiosa o nazionale, che spinge fino
all’estremo ideologico le idee nazionali o religiose esistenti e
porta a una mobilitazione militante contro i nemici esterni o i
dissidenti interni. L’islamismo è così – così come l’estrema
destra – un prodotto della crisi mondiale del capitale. »
___________________
Di tale autore, Stampa Alternativa ha reso disponibile una raccolta di articoli dell'autore (si trova anche il presente, in traduzione leggermente modificata).
All'analisi straordinaria di Konicz, aggiungo soltanto una cosa, prendendo spunto dallo Zittito che ha riportato un'intervista al generale Carlo Jean.
Data l'«emergenza» e il rinnovato «Stato d'eccezione» che si profila, in breve: data la guerra in corso contro la follia egregiamente organizzata (finanziata dagli stessi capidistato che ora piangono) dello Stato islamico surgivo, per seccare le fonti, l'Europa deve imparare e reagire, in blocco, come Israele, senza tante seghe mentali: spianarli.
5 commenti:
un esercito di occupazione, globalizzato al più alto grado, che si è costituito nelle regioni al collasso economico-sociale e politico della Mesopotamia
ecco il punto
Sì, mi sembra che Konicz abbia colto nel segno.
" come Israele, senza tante seghe mentali: spianarli."
ti dispiace chiarire cosa intendi dire? chi é perchè "spiana" israele? lo fa a ragione oppure...? hai idea di chi sono i mandanti di parigi? ti dice niente il giorno: venerdi 13? hai dimenticato dove e perchè nasce il tutto?
franco valdes piccolo proletario di provincia
1) È un fatto che Israele - pur nella aggressiva politica di occupazione dei territori della quale non voglio discutere qui - si sia saputo e si sappia difendere da questo tipo di attacchi.
2) Il giorno venerdì 13 non mi dice niente.
3) Non l'ho dimenticato, anche perché è il mio punto di partenza e l'articolo che ho riportato lo dimostra.
Il commentino mio privatissimo, a caldo, è che di fronte a questo tipo di terrorismo dalle cause ben note, vorrei che almeno ci fosse, da parte delle élite che ci governano, una reazione intelligente e potente simile a quella israeliana.
Per fare un ulteriore esempio: Hitler e il nazismo furono anche determinati, causati, furono la reazione alla politica imperialista anglofrancoamericana e per un po' gli andò anche bene, ci fecero persino dei trattati, gli fecero concessioni al boia...
Poi però fu combattuto e vinto (insieme all'alleanza fondamentali coi russi).
E tu guarda il caso oggi: c'è il nemico Putin in campo che vorrebbe riproporre una simile alleanza d'antan contro i fascioislamisti 2.0.
Finisco: per reagire e tentare di sconfiggere l'isis o daesh, occorre: innanzitutto, che la smettano di rifornirlo di soldi, armi eccetera, a partire dal convincere con le buone o le cattive i turchi e i sauditi che sono stati il tramite; poi, ripristinare con la forza (la guerra) la pace in Siria (come accadde in Europa: per finirla con i nazisti ci vollero i bombardamenti); e poi, boh: le regioni mesopotamiche sono al collasso economico sociale e politico: assaltino il fortino degli sceicchi, da Ryad ad Abu Dabi invece di portare terrore e morte a pacifici inermi indifesi cittadini del mondo.
sulle fonti di finanziamento di IS
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/stato-islamico-e-strategie-di-finanziamento-una-sintesi-14155
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