Quanto
segue sono delle considerazioni scaturite dalla lettura
dell'intervista
di Limes a Georges Friedman, prestigioso analista dell'Amministrazione
americana, che ho scoperto grazie alla segnalazione de Lo Zittito.
LIMES
Anche Hegel poneva, almeno temporaneamente, lo Stato nazionale al
centro delle sue teorie. Gli Stati sono ancora i principali
protagonisti delle relazioni internazionali?
FRIEDMAN
Decisamente sì. Per Hegel lo Stato nazionale rappresentava una
costruzione storica destinata a essere superata nel tempo, come
accaduto in passato alla polis greca. Ciò nonostante, in attesa di
un soggetto politico che lo sostituisca, lo Stato ci appare ancora
come la più efficiente delle costruzioni politiche. Mentre le forme
non statali, siano esse informali o di estensione internazionale, non
sono «hegelianamente» in grado di fare la storia. Lo dimostra in
questi giorni il conclamato fallimento dell’Unione Europea.
Perché
la forma Stato-nazione perdura? Perché essa «ci appare ancora come
la più efficiente delle costruzioni politiche»?
Non
vi è alcun dubbio che lo Stato, nelle varie declinazioni politiche
adattatesi all'evoluzione storica delle diverse società che
contiene, sinora si sia dimostrato l'organizzione politica migliore
per dare compiutezza alla forma valore. Ciò significa che per
ogni Stato, in cui vige il moderno sistema economico e produttivo
capitalista, l'obiettivo primario e ineludibile è la realizzione di
profitti ottenuti dalla vendita e dallo smercio della produzione
complessiva nazionale; produzione, beninteso, che è diversamente
strutturata per ogni società: dalla libera impresa, al controllo
statale diretto nella produzione.
L'importante,
insomma, per ogni Stato è riuscire a ottenere un realizzo per la
capacità produttiva nei vari settori economici: primario, secondario
e terziario [¹].
Da
notare che mentre le organizzazioni statali pre-capitaliste fondavano
il proprio impero sulla schiavitù o sullo sfruttamento diretto dei
territori e dei popoli conquistati, i moderni Stato-nazione borghese
– a parte numerose eccezioni che sono spesso regola – non vivono
più sulla schiavitù o sulla vessazione diretta e conclamata delle
popolazioni. Sulla carta perlomeno nessuno sfrutta più
nessuno.Vende. Con una certa necessità
le nazioni marittime, come in passato la Gran Bretagna e oggi gli Stati Uniti, possono accedere al commercio con maggiore facilità, perché non hanno bisogno di costruire strade o ferrovie per vendere le loro merci. Mentre Russia, Germania o Cina sono costrette a spendere in infrastrutture e ad attraversare territori altrui per ottenere lo stesso risultato.
Come
vedete, lo stesso hegeliano d'America capisce questa importanza. Ma –
e con questo viro verso la conclusione – perché data questa
consapevolezza, George Friedman risponde così su Marx?
LIMES
[...]
Che ne pensa del marxismo?
FRIEDMAN
La geopolitica deve moltissimo a Marx. Il Capitale è un testo
fondamentale e al filosofo di Treviri va riconosciuto d’aver
distinto con esattezza le diverse fasi del ciclo economico
capitalistico (boom-bust-boom). Così il materialismo storico
possiede notevole pregnanza e io stesso, in un certo senso, sono un
materialista che pone lo Stato al centro della sua analisi. Tuttavia
Marx ha invalidato il proprio ragionamento concentrandosi sul
concetto di classe. Così già nel 1914-18, e più ancora nel
1939-45, le sue teorie potevano considerarsi superate. Ossia quando
ai proletari del mondo, cui era stato spiegato di appartenere a
un’unica grande classe internazionale, fu chiesto di uccidere altri
proletari perché cittadini di uno Stato straniero e nemico. In
quello stesso istante la realtà geopolitica frantumò l’ideologia
comunista.
Orbene, chi è che, dopo aver spiegato spiegato ai proletari del mondo di
appartenere a un'unica grande classe, gli avrebbe chiesto di
«uccidere altri proletari perché cittadini di uno Stato straniero e
nemico»? Marx?
Ora,
nei limiti delle mie letture, Marx parla, è vero, «di
trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della
produzione» nell'auspicio della «scomparsa dell'antagonismo
delle classi». Parla anche di dittatura del proletariato, da
intendere come fase “statuale” di passaggio, di transizione verso
una società senza classi e senza Stato.
L'unico
Stato-nazione comunista dell'epoca era la Russia che, in quegli anni
tra le due guerre, a tappe forzate, ha compiuto il passaggio da un
sistema economico produttivo feudale basato essenzialmente
sull'agricoltura al moderno capitalismo. Tutti gli altri partiti di
ispirazione marxista presenti nelle varie nazioni europee finirono, obtorto
collo, per soccombere alla retorica nazionalista della chiamata alle
armi per il supremo interesse dello Stato-nazione.
E
anche dopo la Seconda guerra mondiale, Russia e Cina si sono imposti
come Stati comunisti finché hanno saputo imporre le loro economie
stataliste nel commercio limitato per l'Urss alle nazioni che
gravitavano sotto la sua sfera, e per la Cina alla capacità di
adattamento e trasformazione in senso capitalistico della
propria produzione (sempre sotto il tallone statale).
È
chiaro che all'interno della dinamica della forma valore a
beneficiarne non è il superamento della divisione in classi, bensì il
consolidamento dello Stato-nazione che diventa il vessillo primario
al quale si aggrappa prima di tutti il capitale, privato e pubblico,
per difendere coi denti e le unghie la proprietà (privata e/o statale) dei
mezzi di produzione.
E
la nostra epoca conferma che gli Stati-nazione sono l'involucro,
l'impacchettamento col fiocco della merce da vendere, quale
che sia, legale o illegale, letale o virtuale, eccetera.
Pensa
un po' quante cazzo di armi vende la Francia all'Arabia Saudita, principale finanziatore dell'Isis. Un bel cacciabombardiere Rafale,
in fondo, non è proibito come uno Chateau Lafite.
________
¹Non
è il caso adesso di occuparsi sul come ogni Stato-nazione impiega il
flusso di risorse e a beneficio di quali particolari interessi.
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