Lavorare in banca: una vita di merda. Vedersi passare davanti tutti quei soldi, toccarli, non poterci far niente se non contarli e stare attenti a non sbagliare, ché alla fine della giornata i conti devono tornare sennò son cazzi. I primi tempi, le paure; poi, col tempo, è diventata una abitudine. Ho sbagliato solo una volta, ottanta euro: sono sicuro di averli dati per sbaglio alla moglie di Renzi, quella volta che venne a cambiare il bancomat perché le si era smagnetizzato.
Ma la peggior cosa del lavoro sono le pause pranzo, coi colleghi, a mangiare qualcosa pagato coi ticket restaurant, sempre più o meno al solito posto, soliti piatti, soliti discorsi del cazzo sul calcio, la fica e le vacanze, solite passeggiate digestive per arearsi i polmoni prima di tornare al chiuso, seduti dietro al banco ad aspettare la clientela.
Eppure tutti - parenti, amici - continuano a dirmi che sono un uomo fortunato perché ho un lavoro sicuro, ben pagato, la famiglia, la casa, la macchina. Tutta gente che ama parlare della condizione esistenziale altrui. Io non mi permetterei mai di dire a un maresciallo dei carabinieri che è un uomo fortunato. E neanche a quei dirigenti papponi del cazzo parastatali che succhiano soldi in automatico perché detengono monopolio in qualche settore, dalla pubblicità al gioco d'azzardo. Crepassero. Eppur vivono. Ma io no, non li invidio, non ci penso e se li cito è perché non sapevo quale altra categoria umana e professionale usare come paragone. Ne ho presa una quasi a caso, lo giuro. Ma non è questo il punto.
Il punto è che io mi sono invaghito di una collega, arrivata da poco, più giovane, più bella e però questa collega evidentemente no, non si è (ancora) innamorata di me, anzi mi evita, non mi considera, mi tratta con sufficienza, e mi si rivolge esclusivamente per questioni di lavoro. Eppure fa gli occhi dolci a tutti gli altri, con loro scherza, scambia battute salaci, equivoche - e quanto mi fa incazzare questo andazzo dio solo lo sa (dunque non lo sa nessuno, io e basta).
È difficile continuare così, andare a lavorare e patire il doppio: da un lato i soldi che mi scorrono come acqua tra le mani; dall'altro, per gli sguardi di lei che si soffermano dappertutto tranne che su me. Non vedo l'ora di prendere le ferie per riposarmi un po'.
Pensavo giusto questo stamattina mentre entravo in filiale. C'era il sole e non faceva freddo, ho lasciato persino il soprabito in auto. La giornata è iniziata come sempre, clienti, movimenti, saldi, estratti conto, bonifici... Dopo pochi minuti, insieme agli altri colleghi, ci siamo accorti che occorreva accendere tutte le luci della filiale perché fuori s'era rabbuiato e qualche cliente, entrando, confermava che stavano cadendo le prime gocce. Quindi, improvviso, un tonfo secco, un tuono fortissimo, come se fosse caduto sul pavimento. Via la luce, i computer tutti bui. Silenzio. Il direttore esce dal suo ufficio dicendo di non preoccuparci, era solo il temporale. Il cliente davanti a me si alza e si avvicina alla porta a vetri. La giovane collega accanto a me, che in quel momento aveva la cassa chiusa, mi si avvicina e mi sussurra.
- Alberto posso chiederti un favore?
[probabilmente continua]
5 commenti:
Bello! Ergo: togliere quel probabilmente davanti a continua ;-D
"Alberto, visto che i computer sono spenti, vuoi farmi un piacere? E' tanto tempo che vorrei una foto con tutti i colleghi intorno. Ecco il mio cellulare, vuoi farcela tu?"
chi invidierebbe mai una vita così monotona? solo chi è disoccupato e magari pure con una bella laurea...(non è il mio caso).Penso che la continuazione sia quasi scontata...ma la tengo per me :)
ciao
Gentile Quattrocani, il tuo epilogo è meraviglioso. Se permane il "probabilmente" (mi spiace per Siu) lo emendo definitivamente.
;-)
@ S.
Gradito assai sarebbe che non la tenessi per te e la pubblicassi nel tuo diario, così - nel caso in cui io continuassi - il seguito sarà meno scontato.
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