Due passi lenti nel dopopioggia, per buttare la spazzatura. Aria calda, polline sopito, cinguettii in ripresa. Nel calpestio involontario di una pigna secca, rapido un upupa fugge colorando il cielo incastonato dentro una pineta. Inevitabile sorridere, vero Eugenio? Pensa, neanche la ruggine rumorosa ad apertura cassonetto rompe l'incanto. Ma un'ape piaggio, sì. Non per il rumore, bensì per la puzza di miscela d'olio e benzina bruciata del motore a due tempi. Insopportabile. Alzo la maglietta sul naso e storco il muso. Bleah. Sputo centrando un soffione dimezzato. Aspettando che gli ultimi residui svaniscano nella troposfera, decido di orinare al riparo di una trincea naturale incavata tra un rovo di more e uno di rosa canina fiorita Ah, che bello lo svuotamento e, insieme, l'assorbimento di sé nel terreno. Lo scrollare successivo è libero e insistito: indaffarate come sempre, chissà cosa penseranno di me le formiche. La loro vita programmata, codificata, preordinata... A volte, le rare volte che mi accorgo che qualcuna è salita su un barattolo vuoto di tonno o di marmellata che da casa porto al punto di raccolta differenziata, mi chiedo che cosa farà la formica smarrita, raminga, lontana dal suo gruppo, dagli ordini impartiti dal comandante in capo, la regina. Gli dèi inesistenti avrebbero per noi il medesimo pensiero?
1 commento:
Temo che per gli insetti sociali il concetto di individualità abbia poco a vedere con il nostro. Non possono che morire.
Posta un commento