lunedì 5 dicembre 2016

Il messo (4)


Il primo a presentarsi fu Giulio, un trentenne bancario con prospettiva di carriera, dato che suo padre era un dirigente importante della Cassa di Risparmio dove lavorava. Introducendo la sua storia, egli si limitò all'essenziale, come se i suoi interlocutori non fossero stati altro che appuntati dei carabinieri che trascrivevano le generalità dell'interrogato. Ma quando ebbe a dichiarare le ragioni per cui si trovava lì in quel consesso di individui in crisi esistenziale, dovette confessare che la sua fidanzata lo aveva lasciato poche settimane prima di sposarsi, dopo che avevano preparato tutto, compresa la casa nella quale avevano deciso di andare a abitare. Oramai era trascorso più di un anno da quel momento, ma niente, lui ancora non l'aveva superato, nonostante la casa l'avessero facilmente rivenduta, e il viaggio di nozze prenotato lo avesse fatto lui, insieme a un amico, California e Hawaii, due settimane di distrazioni e piaceri che lo avevano sprofondato in piena depressione. Perché si trovava lì? Per capire. Capire se ci fosse una via d'uscita, qualcosa che lo aiutasse non tanto a dimenticare, quanto a sgravarsi dalla continua sensazione di fallimento unito a un costante sentimento di rivalsa nei confronti di colei che adesso era felice da un'altra parte, con qualcun altro e di coloro che con uno sguardo appena glielo ricordavano, era così, parenti e amici, lo vedevano quasi sempre nervoso, con quelle labbra all'ingiù, pronto a prendersela per ogni sciocchezza che poteva capitare. Adesso basta. Si era rotto le palle di questa vita inutile, di sonno difficile da prendere e sogni difficili da completare, alzarsi al mattino controvoglia con lo stomaco chiuso e nessun desiderio più.

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