La
seconda a presentarsi fu Juliana, una trentenne originaria del
Brasile, divenuta italiana dopo il matrimonio e ancora formalmente
coniugata (anche se non vedeva il marito da più di un anno).
Aveva appena diciott'anni quando arrivò in Italia, ospite di una cugina di
età maggiore, in Italia per aver sposato un vedovo, zio del suo
futuro sposo. Dieci anni di faticosa vita coniugale con uno spiantato
alla ricerca di una professione stabile e redditizia: due figli, tre
traslochi in tre città diverse, più un anno intero trascorso a casa
dei suoceri perché non avevano altro modo per tirare avanti. Ma lei
aveva resistito, mai si era persa d'animo perché era profondamente
innamorata di suo marito. Stava bene, nonostante i freddi invernali a
cui non era abituata, e il fatto – secondario anche rispetto al
clima – di non avere vicino la madre (madre che si era risposata e
aveva avuto altri figli dopo la morte del padre di Juliana).
Poi
tutto le crollò addosso, anche la fatica. Lui aveva
abbandonato il tetto coniugale per andarsene – le aveva detto –
«in cerca di me stesso». E lei: «Per cercare te
stesso, brutto stronzo, mi lasci sola con due figli da
badare e senza un quattrino per andare avanti?» Niente da
fare: egli raccolse a mala pena un cambio biancheria (manco dovesse
andare in paradiso), dette un bacio a piccoli, e disse «addio,
addio, spero un giorno mi perdonerete».
«Col
cazzo», ripeté più volte Juliana dopo che lui chiuse dietro di
sé la porta. E infatti, dopo poche settimane, lei seppe che il
marito, più che cercare se stesso, e trovarsi, trovò (Juliana tuttavia non seppe mai quanto cercando) una tedesca venticinquenne, figlia di un
dirigente della Miele, la quale, ribellandosi ai progetti paterni, era
fuggita in Italia con l'idea di diventare apicultrice –
accorgendosi soltanto qualche tempo dopo, che è difficile sfuggire
veramente dalla morsa del patriarcato – e lui, dato che tra i mille
lavoretti svolti, aveva fatto tre mesi in un'azienda di produzione e
confezionamento del miele, si offrì di accompagnarla nel progetto.
Così
Juliana era rimasta sola, anzi no: con due figli da crescere,
accudire, educare, sostenere. Per i primi tempi, lo zio di lui e la
cugina le trovarono un impiego presso una cooperativa di servizi, a
pulire locali e uffici pubblici la mattina all'alba (dalle 5 alle
7,30) oppure la sera, dopo il tramonto. La mattina ce la faceva a
ritornare in tempo, svegliare i figli e spedirli a scuola. La sera
era costretta a chiuderli in casa da soli, almeno sino verso le
22,30, ora del suo ritorno.
A
convincerla a partecipare a tale corso fu il prete – ogni tanto
andava persino da lui a pulire la canonica. Le volte che lo faceva,
incontrava persone sorridenti e dall'aspetto sereno, che la
salutavano con garbo e simpatia. Così per quel finesettimana si
organizzò chiedendo alla cugina se per una volta una poteva guardare
i bambini perché aveva un urgente bisogno di ritornare a sorridere.
Nessun commento:
Posta un commento