Isabella
era una ragazza alta, bella, bella veramente. Portava spesso i
capelli raccolti, trascurata eleganza di chi sapeva che, al momento
di scioglierli, ben pochi si sarebbero distratti per perdersi tale
spettacolo.
Figlia
di un industriale della carta, aveva quindi sempre vissuto negli agi
del capitale: buona famiglia, buoni amici, buone scuole, buono tutto,
quasi a sfiorare l'optimus se non fosse stato per il suo animo
inquieto, l'irragionevole passione per Camus e la costante voglia di
contraddire quello che i suoi speravano un giorno sarebbe diventata.
Dopo
il liceo, si era iscritta a lettere, più che altro per approfondire
una passione, lei veramente sì senza intenzione di diventare un
giorno insegnante per ripiego. Un semestre seguì il corso di Storia
del teatro che prevedeva un seminario con un affermato autore e
regista italiano, comprensivo di una tre giorni full immersion in un
piccolo teatro di provincia per le prove e un agriturismo per il
resto.
Ancora
ricordava con piacere quella sera in cui lei, insieme ai suoi
compagni del corso, si ritrovò allo stesso tavolo degli attori e
del regista. Dato che provavano a mettere in scena gli Atti senza
parole di Beckett, mangiarono
tutti all'insegna del silenzio. Interrotto soltanto dal sibilo di un
peto che qualcuno improvvidamente non seppe trattenere (e soltanto
quando il regista rise, tutti gli altri, compreso il professore
ordinario, risero). Così come ricordava la prima
sera nell'unica
camerata riservata
agli
studenti. A lei, che si era attardata a entrare in camera, toccò
dividere l'unico letto matrimoniale, enorme, con un compagno di corso
più giovane, impacciato e taciturno, sicuramente più soddisfatto di
lei della prospettiva. Quando si infilarono dentro le lenzuola fredde
e umide, il giovane timidamente le disse che era la prima volta dai
tempi in cui andava a letto da piccolo con la madre, che non dormiva
con una donna.
Isabella
più che lusingata cominciò leggermente a preoccuparsi e come
mossa di difesa, si distanziò nell'angolo del letto. Ma questo non
bastò a farle prendere sonno; e come lei, neanche il giovane
dormiva. Dopo una mezzoretta, forse per l'agitazione che entrambi
giustamente percepivano nell'altro (oltre che in se stessi), il
giovane ebbe l'ardire di chiederle: «Posso tenerti un gomito per
addormentarmi?». Isabella, forse presa dalla pena per il giovane
compagno, ma forse più perché le era preso freddo, rispose di sì e
la prima ad addormentarsi fu lei.
[continua
presentazione Isabella]
1 commento:
Il gomito, che tenerezza.
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