«Messo alle spalle lo spavento legato alle Presidenziali francesi e minimizzati anche i rischi legati al voto tedesco di fine settembre, i mercati finanziari non hanno mai fatto mistero di puntare tutta l’attenzione sul nostro Paese, ritenuto da molti analisti la vera mina vagante della lunga stagione elettorale europea. Logico quindi che l’ipotesi di una consultazione anticipata, scoprire cioè che il potenziale problema è più vicino, abbia indotto gli investitori a vendere senza mezzi termini gli asset italiani.» via Il Sole 24 Ore
Leggere
articoli sul tema è molto istruttivo perché illustrano ottimamente
lo stato dell'arte in materia di elezioni libere e democratiche. Il
voto dei mercati (questa entità astratta contro la quale si
staglia la critica miope dei vari populismi sinistrorsi o destrorsi
che siano) ha un peso
incomparabilmente maggiore rispetto a quello di – va detto senza
infingimenti – tutto il corpo elettorale.
I
mercati decidono quale sarà la politica economica del presente e del
futuro governo, perché ogni governo, quale che ne sia il colore, o
dà conto ai diktat dei mercati o implode.
La
politica è ostaggio dei mercati. Ma che cosa si intende con mercati
e che cosa essi vogliono?
Facciamo
un passo indietro: l'errore più grande che commette ogni politica
riformista, compiuto anche dalle politiche che portano avanti istanze
radicali (no-euro, no-global) è quello di
credere che i mercati siano disgiunti dal sistema produttivo in
essere, che siano un'entità astratta che depreda il lavoro onesto e
probo di uomini e donne di buona volontà, imprenditori e lavoratori
che sono, o diventano, appunto, le vittime predilette dei mercati. Ebbene, se non
si corregge questo errore, non ci si accorge che i mercati sono
funzionali al sistema, che tutto il sistema economico e produttivo,
se non ci fossero i mercati, non avrebbe alcun modo di andare avanti.
Non solo piccola e media e grande impresa hanno bisogno dei mercati.
Soprattutto: lo Stato, ogni Stato è dipendente
dai mercati.
Quando
i cronisti parlano di vendere asset non bisogna confonderli con le
seggette del w.c. Vendere asset significa vendere il debito
(pubblico) senza il quale lo Stato non va avanti. Esempio: se uno
Stato non riuscisse a vendere il proprio debito, o
se dovesse venderlo a fronte di un esorbitante rialzo degli
interessi da elargire ai creditori, in
poche settimane fallirebbe e ospedali, scuole, forze dell'ordine,
pensioni, tutta la struttura statale,
tranne coloro che nelle posizioni di comando avranno possibilità di
salire su privilegiate scialuppe di salvataggio,
alla Schettino, affonderanno – senza inchino.
Viviamo
dentro un sistema economico e produttivo creato dall'uomo che non è
dominato dall'uomo, bensì il contrario. Siamo noi a essere dominati
da un'astrazione, l'astrazione del valore, nel senso che tutto il fare umano, per valere, o sottostà alla
legge del mercato o non vale. Ogni merce, come dimostra in modo irrefutabile
l'analisi marxiana della stessa, contiene in sé una doppia
contraddizione irrisolvibile (valore d'uso/valore di scambio) dentro
l'attuale sistema, giacché tutta la produzione, tutto il lavoro,
sotto il capitalismo, viene svolto non per soddisfare i reali e
concreti bisogni umani, ma quelli legati ai fini della valorizzazione
del capitale – l'astrazione del valore.
Oh,
certo: non va dimenticato che esistono, eccome se esistono, coloro
che si pascono di questo sistema: ma non è che sostituendoli,
o peggio: sacrificandoli
(anche se, ogni tanto, per sfizio, appiccicarne qualcuno al muro
potrebbe dare un po' di soddisfazione) risolverà la crisi...
Alors, hypocrite électeur, mon semblable,
mon frère, che dici: quanto vale
il tuo voto? Quanto valgono i voti di tutti? Un cazzo? Aspetta che me
lo tocco, per sentire se è
in asset.
4 commenti:
ottimo, sei in asset
oh year
maddai, non dirmi che non vuoi nemmeno mettere bocca su chi deve andare a dire sissignora a merkel...!
la metterò di poi, va bene, ma questo prescinde dal fatto che non sarò io a sceglierla la boccuccia di rosa (que viva Angelino!)
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