Sono quello a destra, che si sfila la veste |
Domenica: in molte chiese
(in quasi tutte) si celebra la Santa Messa.
Sino a un certo punto
della mia vita, a partire perlomeno dalla prima Comunione, ho avuto
un pungolo domenicale che mi diceva: «Vado o non vado alla
messa?».
La
mia è stata una graduale (ma non so se consensuale) separazione dal
sacro e, nella fattispecie, dal sacro cattolico (le radici cristiane
del mio occidente, per capirsi), e per molti anni il pensiero di
andare alla messa la domenica è stato per me un dilemma religioso.
Ma
perché, in fondo, andavo (o non andavo) alla messa? Pressione
familiare? No, non credo: i miei non m'imponevano certo di andare,
mio padre se ne fregava, mia madre è una non credente
dichiarata, la zia (molto religiosa) me lo ricordava soprattutto
nelle grandi occasioni da non perdere (Natale, Pasqua e altre
importanti festività religiose). Dunque, per me, andare alla messa è
stato fin da piccolo una decisione personale, anche perché o ci
andavo da solo, o non ci andavo.
Fino
alla prima liceo andavo alla messa (non tutte le domeniche,
claro) perché pensavo portasse bene e che Dio (o chi per lui) mi
avrebbe ricompensato durante la settimana: in buona sostanza, offrivo
il mio tempo alla rottura di palle della celebrazione religiosa per
sperare di avere (o non avere) qualcosa in cambio. Ero un capzioso:
lusingavo Dio, anche se cercavo di nasconderlo alla mia mente perché,
mi dicevo, «cazzo Dio è onniveggente e mi legge anche nel pensiero,
quindi devo nascondere le mie reali intenzioni pregando anche per il
bene degli altri e la pace nel mondo, forse così, se mi faccio
bellamente altruista, avrò dei vantaggi, soprattutto domani che ho
l'interrogazione di latino», e se prendevo cinque la colpa la davo
interamente a me che non ero stato abbastanza astuto da fregare il
Signore, mica perché non avevo studiato.
Dopo
questa fase utilitaristica, ebbi anche una vera e propria fase
mistica della messa, soprattutto grazie a un prete in gamba,
molto alternativo, che ha scarnificato la celebrazione
all'essenziale, in un ambiente – una pieve romanica meravigliosa –
dove avvertivo di per sé un certo afflato con la bellezza e il
sublime (e, siccome credevo, il trascendente). Collateralmente ai
miei studi girardiani, mandavo a mente salmi in versione
ceronettiana, passi di Giobbe e del Qohèlet, di Isaia e Geremia,
Daniele ed Ezechiele. Provavo la dizione, insomma, ma dicendo ogni
tanto tali passi scritturali, mi chiedevo, parallelamente, che
diamine se ne facesse Dio delle mie, delle nostre preghiere, delle
nostre lodi, genuflessioni, pentimenti e donazioni (beh,
quest'ultime, più che altro, sono gradite agli intermediari del
Signore).
E il Padre Nostro perdeva peso, l'Ave Maria scivolava via, l'Atto di dolore mi provocava solo stupore («mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati» ma peccati di che?) - sillabando tutte queste preghiere che un Dio vero, ce ne fosse uno, avrebbe fatto comporre a ben più capaci poeti.
E il Padre Nostro perdeva peso, l'Ave Maria scivolava via, l'Atto di dolore mi provocava solo stupore («mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati» ma peccati di che?) - sillabando tutte queste preghiere che un Dio vero, ce ne fosse uno, avrebbe fatto comporre a ben più capaci poeti.
Poi,
a un certo punto, la mia fede debole ha cominciato a perdere
consistenza, a vacillare, sotto i colpi pressanti dell'idea
pericolosa di Darwin e di un dialogo a distanza con altri umani
inquieti come me. E così la pelle di serpente del mio cattolicesimo
è caduta in terra – e per fortuna, l'epoca e le circostanze mi
hanno consentito facilmente di sfilarmela di dosso, tale pelle, ché
non so se, in altre circostanze od epoche (o anche, per esempio, in
altro contesto religioso come l'islam) io sarei mai riuscito a
trovarmi nudo di fede religiosa.
Non credo più a
nessuna possibile rappresentazione umana del trascendente ammesso e
non concesso che un trascendente esista.
L'universo è grande, purtroppo inutile.
1 commento:
Però le pievi romaniche e in generale moltissima arte sacra (pensa poi anche alla musica) suggeriscono un'immagine del trascendente che convertirebbe chiunque. Sono opera dell'uomo, che evidentemente sogna il trascendente come si sogna qualcosa che non c'è ma che sarebbe meraviglioso esistesse.
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